Terremoto a Ischia, quella lezione che ci ostiniamo a non imparare

di ​Generoso Picone
Martedì 22 Agosto 2017, 08:24 - Ultimo agg. 08:26
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Quando la sera del 28 luglio del 1883 Ischia venne devastata del terremoto che allora toccò il decimo grado della scala Mercalli e provocò 2.313 morti, 1.784 soltanto a Casamicciola, tra le vittime vi furono anche i genitori e la sorella di Benedetto Croce, e tra coloro che si ritrovarono a scavare tra le macerie c’era Giustino Fortunato. Lui, il grande meridionalista, aveva fissato il paesaggio del Sud Italia nella definizione di sfasciume pendulo sul mare e non altra constatazione viene in mente oggi osservando le immagini di Ischia devastata dalle scosse. Ieri come 134 anni fa, ieri come 37 anni fa in Irpinia, ieri come l’estate scorsa o immediatamente prima a L’Aquila, ad Amatrice, nelle Marche.

La sequenza degli anniversari e il film della memoria consegna l’amara verità di un Paese che non riesce a fare i conti con la propria vulnerabilità sismica e soprattutto non appare capace di apprendere la lezione dei tempi. In una sorta di drammatica coazione a ripetere, il terremoto colpisce e uccide senza che l’Italia - e il suo Centro Sud come tragico paradigma - si mostrino in grado di reggere ai colpi della terra ballerina. Non un piano di riqualificazione del patrimonio edilizio che pure in altri particolarmente sensibili luoghi è approntato e funzionante, limitando danni e vittime a una livello ormai prossimo allo zero; non un programma adeguato di messa in sicurezza del territorio; non l’acquisizione di una consapevolezza che rappresenti la cifra di una comunità davvero civile.

A Ischia l’onda sismica è stata di una intensità significativa e il quarto grado accertato della scala Richter ha senz’altro un peso notevole. Ma la scossa ha quasi decuplicato i suoi effetti per aver interessato un tessuto di fabbricati che probabilmente non possedevano requisiti di antisismicità.
 
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