Il Paese del sotterfugio e i controlli deboli

di Adolfo Scotto di Luzio
Giovedì 22 Giugno 2017, 08:37
4 Minuti di Lettura
Forse il ministro della Pubblica istruzione, Valeria Fedeli, sa dove si trova Melito, grosso comune alla periferia Nord di Napoli, tra Scampia e Secondigliano. Quel che non sa, probabilmente, è che in questi giorni a Melito c’è un albergo che ospita centinaia di studenti per modo di dire, provenienti da diverse regioni italiane. 

Tutti aspettano di conseguire la maturità presso l’Istituto Voltaire, scuola paritaria del vicino quartiere napoletano di Secondigliano. Una decina di pullman scaricano i ragazzi davanti all’istituto e i giornalisti che vi si sono recati ieri mattina, alla ricerca di una spiegazione per un così massiccio fenomeno di migrazione scolastica, sono stati malmenati; uno addirittura aggredito, pare, da un gruppo di professori poco inclini alle spiegazioni.

Il ministro forse non è a conoscenza di quest’ultimo caso napoletano ma farebbe bene ad informarsi, perché la vicenda degli istituti paritari, soprattutto a Sud di Roma, costituisce da anni uno scandalo del nostro sistema nazionale di istruzione. L’istituto paritario è un ente che ha la capacità di rilasciare titoli di studio che sono in tutto equiparati a quelli concessi dalla scuola pubblica. Naturalmente dietro lauto compenso e, spesso, in assenza della benché minima prova d’esame da parte del sedicente studente. Insomma, una maturità farsa. Un modo infallibile per verificare la vera natura di questo tipo di istituti è controllare, laddove naturalmente è possibile, il numero degli studenti di quarta e poi metterlo a confronto con quello delle quinte. L’esplosione demografica da un anno all’altro è un segno inequivocabile di corruttela.

È noto a tutti, a cominciare dal ministero di viale Trastevere, che istituti di questo tipo continuano a sfornare diplomi anche in assenza dei requisiti previsti dalla legge. Più volte il ministro di turno ha annunciato il pugno di ferro ma di risultati concreti se ne sono visti pochi per la verità. I diplomifici continuano a funzionare a pieno regime e, in cambio di svariate migliaia di euro per ogni studente, gratificano la famiglia di un bel certificato educativo, valido a tutti gli effetti. La ragione sociale di questo tipo di impresa non è altra e i professori fanno volontariamente la loro parte. Spesso si tratta di precari, che in cambio di punteggio sembrano disposti a fare qualsiasi cosa. Ma spesso si tratta anche di professori di ruolo che sottobanco arrotondano i loro stipendi.

È a tutti chiara la natura profondamente corruttiva di questo tipo di istituti. Quello che diventa difficile comprendere è come si possa tollerarli. Se non per una vasta e pervasiva collusione di interessi, tra famiglie, gestori degli enti paritari, e quella massa di sottoproletariato docente che pure vi raggranella la sua miseria quotidiana. In Italia, la scuola privata è da anni profondamente in crisi e con l’ eccezione di alcune gloriose istituzioni, prevalentemente di matrice religiosa, anche se non mancano le scuole laiche, cariche di passato e di tradizione, molte scuole paritarie, soprattutto a livello di istruzione secondaria superiore, hanno come unica funzione quella di permettere ai falliti del sistema nazionale di istruzione, ancorché facoltosi, di mettere una qualche pezza alla loro mera indisponibilità a sopportare la fatica di una qualche scolarizzazione di tipo formale. Gli istituti paritari di questo tipo funzionano allora come una sorta di scappatoia autorizzata dalla legge. O per meglio dire, individuano una florida e redditizia attività speculativa in un vasto mercato costituito da una popolazione giovanile fatta di svogliati, inetti, di adolescenti senza arte né parte a cui però sopperisce il portafoglio di papà. 

Adolescenti così crescono nella ferma convinzione che tutto si possa comprare, a cominciare dal proprio professore. Il diploma ottenuto in questa maniera costituisce un lasciapassare verso l’ Università, e anche qui ci sono praterie da percorrere, soprattutto tra le Università telematiche, e i relativi titoli che immettono direttamente nel mercato delle professioni, o anche semplicemente degli impieghi pubblici. Dove questi giovanotti protervi, figli c’è da scommettere di genitori altrettanto arroganti, avranno modo di fare disastri, come puntualmente è avvenuto e avviene nel nostro disgraziato Paese.

Ma una scuola pubblica, che nelle sue dirigenze politico-amministrative centrali e periferiche, tollera un verminaio di questa portata è una scuola che difficilmente viene messa nelle condizioni di esercitare il suo magistero da una posizione di forza morale. È infatti il ministero, e cioè la massima autorità scolastica, che non riuscendo a vietare il commercio dei titoli di studio di fatto si priva di uno standard accettabile di qualità. Eppure basterebbe poco, dopo le ispezioni e la guardia di finanza. Basterebbe, ad esempio, sottrarre a questi istituti la possibilità di rilasciare diplomi in sede. Basterebbe stabilire l’ aureo principio per cui gli studenti delle scuole paritarie sono tenuti a fornire le loro prove d’esame davanti a commissioni di professori della scuola di Stato, nel più sicuro e protetto ambiente della scuola di Stato. Basterebbe infine, se proprio non si riesce a fare altro, mettere un tetto al numero degli studenti che si presentano in queste scuole solo per fare l’esame. Vedremo allora quante famiglie invece di un bel ceffone al figlio svogliato saranno ancora disposte a pagare per il tanto disprezzato ma mai veramente disdegnato pezzo di carta. Vedremo quanti diplomifici resteranno ancora in piedi. Perché è evidente che la prosperità di cui essi godono dipende esclusivamente da un difetto di volontà politica da parte del ministro della Pubblica istruzione che li dovrebbe contrastare.


 
© RIPRODUZIONE RISERVATA