«Sud, basta tagli alle Università:
così impossibile fermare l’esodo»

«Sud, basta tagli alle Università: così impossibile fermare l’esodo»
di Nando Santonastaso
Lunedì 23 Maggio 2016, 00:43 - Ultimo agg. 09:42
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Sostiene Adriano Giannola che è un errore fermare i giovani del Mezzogiorno, cervelli o non cervelli, che vogliono trasferirsi altrove. «È assurdo pensare di poter negare loro la possibilità di cercare lavoro laddove esistono le condizioni», dice. Ma poi aggiunge: «Certo, se si riuscisse a garantire loro almeno l’opportunità di frequentare università competitive con quelle del Nord perché dotate degli stessi parametri di finanziamento e di spesa, se non altro si riuscirebbe a formarli qui: e già sarebbe un enorme risultato».

La sfida resta dunque il sistema della formazione?

«Non è l’unica, sicuramente. Ma è quella che si potrebbe vincere se esistesse un pizzico di maggiore consapevolezza da parte delle forze parlamentari sulla possibilità di cambiare le cose senza grossi sforzi. Ormai abbiamo capito, e non da oggi, che è stato commesso un grosso errore nell’impoverire gli atenei del Sud: assegnare ad essi solo il 40 per cento delle risorse e destinare il restante 60% alle università del Nord vuol dire scavare un solco che ben difficilmente potrà essere colmato».

Perché dice che ci vuole poco a rimettere a posto le cose?

«Perché chiedere al governo di rivedere i criteri dell’assegnazione delle risorse per il sistema universitario non è come avviare una Finanziaria. È una scelta politica che ha un obiettivo tanto evidente quanto concreto: riequilibrare la spesa e impedire che il divario formativo tra Nord e Sud aumenti ancora».

L’Istat dice che il divario c’è e non accenna a diminuire e che per i giovani del Sud la prospettiva resta complicata: nulla di nuovo?

«Si potrebbe rispondere di sì ma il punto non è questo. L’Istat conferma ciò che noi della Svimez diciamo ormai da 20 anni...».

Senza essere troppo ascoltati, a quanto pare...

«D’accordo, ma noi non siamo contro questo o quell’altro. Facciamo il nostro lavoro. E se diciamo che nei due quintili dei redditi più bassi c’è il 60% delle famiglie meridionali contro il 20% di quelle del Nord; e che al contrario solo l’8% delle famiglie meridionali si trova al vertice della classifica dei redditi più alti vuol dire che la situazione complessiva del Mezzogiorno rimane pericolosamente precaria».

L’università per trattenere i laureati almeno negli anni della formazione: e poi?

«Incominciamo da qui, perché come ormai tutti sanno i giovani del Sud si trasferiscono al Nord o fuori Italia anche per seguire i corsi universitari. Diamo almeno loro questa opportunità. Dopo di che riflettiamo su un modello di sviluppo sbagliato e cerchiamo di mettervi rimedio».

Cosa vuol dire esattamente, professore?

«Che fino alla grande crisi degli ultimi sette anni abbiamo celebrato un modello che di fatto aveva smantellato le politiche di sviluppo. Abbiamo detto e sottolineato che l’Unione europea avrebbe risolto tutti i nostri problemi con la conseguenza che abbiamo immiserito ogni riflessione sullo sviluppo. Badi bene, sviluppo non crescita: a cosa serve una prospettiva di crescita dell’1,2 per cento, se tutto andrà bene quest’anno, quando al Sud serve un Pil di almeno il 2% per iniziare a risalire?».

C’è il masterplan, ci sono i Patti con le Regioni e le città metropolitane: a qualcosa pure serviranno, non trova?

«Lo spero e sono convinto che il masterplan sia un punto di riferimento. Ma bisogna essere chiari: se manca una visione precisa di ciò che vogliamo fare e da dove vogliamo ripartire per creare investimenti e occupazione nessun piano potrà fare molta strada. Qual è la visione dell’Italia in Europa? A me pare che sia ancora frammentaria e non è una buona notizia per il mezzogiorno».

Il governo sta valutando la possibilità di incrementare l’impiego delle risorse, anche europee, per abbattere il costo del lavoro con una corsia privilegiata al Sud: la convince?

«È un’ottima idea ma perché non dedicare sforzi almeno dello stesso peso anche al rilancio dei sistemi portuali di Taranto o di Gioia Tauro, ad esempio? Ci sono settori in cui si può, già da subito, intervenire garantendo ricadute economiche forti a intere regioni. I fondi europei? Mi auguro che si spendano tutti e bene già a partire da quest’anno perché altrimenti la maggiore flessibilità la dovremo ricontrattare nel 2017 con Bruxelles e non credo che sarà semplice».

L’Istat conferma che la denatalità al Sud sta raggiungendo livelli da desertificazione demografica: che effetto le fa, professore?

«Non è neanche questa una novità in assoluto. La Svimez è stata la prima a lanciare l’allarme demografico nel Mezzogiorno, spiegando che l’indice di fertilità al Sud è sceso all’1,33 per cento mentre al Centronord è del’1,44 per cento. Eppure ci sono regioni coma la Campania nelle quali la popolazione è più giovane: il rischio che ci stiamo giocando una rendita così importante è fortissimo».

Torniamo al modello di sviluppo: dove si è sbagliato?
«Siamo caduti colpevolmente nella trappola della povertà, al Sud. Dando un po’ di spesa pubblica anziché far crescere gli investimenti ha di fatto ingaglioffito la società, soprattutto meridionale, e ha provocato uno spreco assurdo di risorse. Nel Mezzogiorno poi la qualità della spesa è peggiorata e ci si è arroccati sulla difesa dei salari. Morale: ci siamo costruiti un’illusione che a conti fatti non poteva reggere. Non è un caso che oggi si riscopre la Casa per il mezzogiorno solo che quella realizzava l’80 per cento delle cose che diceva mentre la Legge obiettivo si è fermata al 6 per cento».

Le riforme, a cominciare da quella costituzionale, possono aiutare almeno indirettamente il Mezzogiorno?
«Tagliare deputati e senatori va bene ma di sicuro non basta. Perché è sui territori che si riscontra tutta la delicatezza del momento: di fronte alla crisi ognuno va per i fatti suoi, non si riesce a garantire alle Regioni del Sud uno scenario di sviluppo condiviso, al contrario aumentano le conflittualità tra l’una e l’altra. Non mi pare che lo spirito d lle riforme sia stato colto in pieno da tutti».
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