Università, nell'Italia maglia nera il Sud è già condannato alla resa | Leggi

Università, nell'Italia maglia nera il Sud è già condannato alla resa | Leggi
di Alberto Baccini*
Lunedì 7 Dicembre 2015, 08:39 - Ultimo agg. 11:27
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C’è una questione meridionale nell’università italiana? Se lo chiede Mauro Fiorentino in un libro, «La questione meridionale dell’Università», appena pubblicato per ESI, Napoli. La questione c’è.

Ed è il risultato di una complicata combinazione di fattori che stanno svuotando le università del Sud di studenti, professori e finanziamenti. Una combinazione di fattori che non è stata decisa esplicitamente dai governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni; né tantomeno dal parlamento.

Ma è il risultato dell’adozione generalizzata di strumenti premiali adottati in un contesto di progressiva e continua riduzione dei finanziamenti, che hanno spostato risorse dalle università del Sud a quelle del Nord.

Pochi giorni fa sul sito www.roars.it è uscita la notizia che finalmente l’Italia ce l’ha fatta: siamo ultimi nella classifica per la quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni.

Si è realizzato l'obiettivo di quanti in questi anni hanno sostenuto sulla grande stampa nazionale che i laureati non servono, che con un miliardo e quattrocento milioni di cinesi che vogliono venire in Italia a fare le vacanze non abbiamo bisogno delle università, che in effetti di università l'Italia ne ha anche troppe. L'Ocse (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica) ha calcolato che in Italia ci sono 24 laureati ogni cento giovani, contro i 41 della media appunto dell'Ocse, certificando così la nostra ultima posizione in classifica. Fino all'anno scorso eravamo penultimi a pari merito col Cile e davanti alla Turchia, due nazioni che quest'anno ci hanno superato.

È da sottolineare che non è a causa dell'inefficienza del sistema universitario o dello spreco di risorse che abbiamo ottenuto questo risultato. Almalaurea stima, sulla base di dati Ocse, che in Italia far laureare uno studente costa in media la metà che in Germania; il 60% in meno che in Francia e Spagna. Questo risultato lo abbiamo ottenuto perché in questi anni abbiamo ridotto le risorse destinate all'università. Siamo infatti al penultimo posto nella classifica della spesa pubblica per istruzione universitaria in rapporto al Pil. Spendiamo lo 0,9% contro una media Ocse dell'1,6%; peggio di noi percentualmente fa solo il Lussemburgo. L'università e la ricerca (con la scuola) sono i settori che hanno pagato il prezzo più alto in termini di riduzione della spesa pubblica. E il taglio è stato fortemente selettivo dal punto di vista territoriale. Secondo i calcoli di Fiorentino, la riduzione del fondo complessivo per il funzionamento delle università nel periodo 2009-2014 è stata a carico per il 50% degli atenei del mezzogiorno, lasciando in media invariato il finanziamento delle università del Nord.

Veniamo ora alla questione degli studenti. L'Italia ha perso tra il 2010, anno dell'entrata in vigore della legge Gelmini, e il 2015, oltre 27mila immatricolati, pari a una riduzione media del 9%. Nel 2010, ogni 10 studenti che avevano conseguito la maturità, se ne iscrivevano all'università circa 7; dopo cinque anni il loro numero si è ridotto a 6. Anche in questo caso i dati Ocse danno all'Italia un triste primato: solo Messico e Sud-Africa hanno una quota di iscrizioni all'università più basse di quelle fatte registrare dall'Italia. Ed anche in questo caso le diversità territoriali sono impressionanti: perdono oltre un quarto degli immatricolati Basilicata (-33%), Abruzzo (-30%), Sicilia (-25%), Molise (-25%), Calabria (-23%). Solo le università campane si attestano sulla perdita media nazionale.

Perché sta accadendo questo? Principalmente per due ragioni. La prima è che l'università italiana costa troppo agli studenti: nella classifica Ocse, dopo Regno Unito e Olanda, l'Italia è terza in Europa per costo delle tasse universitarie.


* docente, dipartimento Economia politica e statistica Università di Siena
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