Roma, la disfatta del Pd: «Paghiamo Mafia Capitale»

Roma, la disfatta del Pd: «Paghiamo Mafia Capitale»
di Fabio Rossi
Lunedì 20 Giugno 2016, 08:01 - Ultimo agg. 08:52
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«Abbiamo fatto tutto il possibile, non mi pento di averci provato, ma evidentemente in questa situazione, dopo Mafia Capitale e con lo smarrimento dei nostri elettori, la vittoria dei Cinque stelle a Roma era inevitabile». Riunito con i suoi nell'ufficio all'ex Dogana di San Lorenzo, quartiere simbolo della movida romana ma soprattutto storica roccaforte della sinistra nella Capitale, Roberto Giachetti si sfoga.Non nasconde l'amarezza, ma che la partita fosse chiusa lo aveva già abbondantemente capito. Chiama Virginia Raggi per complimentarsi per la vittoria, e poco più di mezz'ora dopo la chiusura dei seggi si presenta ai microfoni per analizzare i risultati. Partendo da un'ammissione di responsabilità: «È una sconfitta che mi appartiene, ho chiesto di avere le mani libere in tutta la campagna elettorale e le ho ottenute», esordisce. «Dalle sconfitte si deve ripartire, penso che possiamo dare molto alla città, porteremo avanti il nostro programma dall'opposizione - scandisce il vice presidente della Camera - Faremo una battaglia di opposizione non preconcetta, costruttiva, continueremo a lavorare per Roma. Saremo un punto riferimento per andare avanti». Al comitato elettorale di Giachetti i primi risultati vengono accolti senza stupore, in un silenzio irreale. Tutti, alla fine, lo sapevano, anche se le proporzioni del successo di Virginia Raggi sono oltre le peggiori aspettative del Pd.

 

LA DEBACLE
Da oggi il Partito democratico romano dovrà cominciare una difficile risalita, dopo aver toccato il punto più basso della sua storia non ancora decennale. Il Pd, al primo turno, ha ottenuto appena il 17,2 per cento dei consensi, portando a casa solo sette consiglieri. Un crollo verticale, rispetto al 43 per cento ottenuto nella Capitale appena due anni prima, alle elezioni Europee. Rispetto alle ultime comunali, quelle del 2013, i dem perdono ben nove punti percentuali. Ma allora a fianco della lista Pd si registrò l'ottimo risultato della civica di Ignazio Marino, non replicato quest'anno dalle liste presentate a sostegno di Giachetti. Imbarazzante persino il confronto con la prima grande sconfitta del centrosinistra nelle elezioni dirette per il Campidoglio: nel 2008, quando Francesco Rutelli fu superato da Gianni Alemanno, il neonato Partito democratico ottenne il 34 per cento, il doppio del risultato portato a casa quindici giorni fa. Dati, questi, che rendono ancor più politicamente drammatica la situazione dei dem all'ombra del Colosseo. Con alcuni casi particolari: negli ultimi mesi il Pd è praticamente scomparso da Ostia, dove il Municipio è stato commissariato per infiltrazioni mafiose, prendendo 30 punti di scarto dai Cinque stelle. E nella periferia più disagiata, quella di Tor Bella Monaca, i dem non sono nemmeno riusciti ad andare al ballottaggio per il Municipio VI. Nell'estrema periferia orientale il Pd ha racimolato appena l'11 per cento, i pentastellati il 42.

IL PROCESSO
Nella notte è partita la resa dei conti. A parte Giachetti, a cui viene comunque riconosciuto il coraggio di essersi messo in gioco in un contesto particolarmente difficile, i primi sotto accusa sono quelli del suo cerchio magico, soprattutto per come è stata ideata e condotta la campagna elettorale. Ma il vero processo è quello interno al Pd Roma, in vista di un congresso che dovrà svolgersi «entro ottobre», quando scadrà il secondo anno del commissario Matteo Orfini. Ieri sera il presidente del Pd era già additato come primo capro espiatorio della sconfitta, considerato anche il cattivo risultato dei Giovani Turchi. Da Area Dem, che fa capo al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, partono gli attacchi più duri contro l'attuale vertice, che era stato chiamato a tentare di risollevare il partito dopo la bufera di Mafia Capitale. In fibrillazione anche la componente vicina a Nicola Zingaretti, sempre più uomo chiave dei dem romani, che intanto lancia messaggi di distensione ai grillini: «Ora pensiamo prima di tutto ai romani - sottolinea il governatore del Lazio - Dalla Regione massima e leale collaborazione con la nuova giunta per affrontare i problemi della città». Più defilati i fedelissimi di Matteo Renzi, che da queste parti fanno riferimento al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, meno propensi ad attaccare direttamente Orfini, nominato commissario proprio dal premier, nella sua veste di numero uno del Nazareno. La parolina magica - «dimissioni» - ancora non l'ha ufficialmente pronunciata nessuno, ma nella notte sono in tanti a sussurrarla a denti stretti. Con la base in ebollizione: «Bisogna cambiare tutto - dicono alcuni militanti nella notte di San Lorenzo - Nelle periferie siamo praticamente scomparsi».

GLI ERRORI
Ma il problema non è solo il ruolo del commissario. A tutto il Pd romano viene contestata una gestione disastrosa degli ultimi otto anni. Prima l'opposizione ad Alemanno, definita da molti troppo morbida soprattutto dopo l'esplosione di alcuni scandali, Parentopoli su tutti, «che hanno fatto girare tra i cittadini l'idea che sinistra e destra fossero quasi d'accordo nell'amministrazione clientelare della città», osserva un dirigente dem. Quindi la scelta di Ignazio Marino, il sindaco dem con l'animo grillino che ha guidato la città fino alla turbolenta caduta, con dimissioni di tutti i consiglieri Pd e grande sconcerto nel popolo dem. Una scelta, quella di Marino candidato a Palazzo Senatorio, che molti imputano (ma lui smentisce) a Goffredo Bettini, deus ex machina del cosiddetto modello Roma ai tempi delle amministrazioni di Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Oggi, sembra passato un secolo.