Napolitano li striglia ma i partiti applaudono: quel paradosso dei flagellati

Silvio Berlusconi e Angelino Alfano
Silvio Berlusconi e Angelino Alfano
di Mario Ajello
Martedì 23 Aprile 2013, 09:30 - Ultimo agg. 11:40
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Il presidente Cincinnato, ma anche un po’ De Gaulle, nell’aula dei flagellati. Napolitano versione bis li rimprovera con vigore, mettendoli davanti alle «irresponsabilità», «omissioni», «chiusure», indecisioni e insensatezze commesse dagli inquilini del Palazzo negli ultimi tempi e anche in quelli precedenti. E loro si cospargono il capo di cenere, lo applaudono in una sorta di collettiva gioia da flagellazione.

L’AULA

Fanno il mea culpa che si traduce in una, due, cinque, dieci standing ovation trasversali. Ogni volta che lui li sferza. Chi applaude di più? Forse quelli del Pdl (zitti, muti e platealmente anti i grillini, con qualche eccezione finale con battimani) ma quando il Cincinnato Giorgio stigmatizza la pretesa di fare governi «senza fiducia» si può notare un deputato democrat in piedi e più in piedi degli altri, il quale si spella le mani. E’ Pier Luigi Bersani: proprio lui, che fino all’altro giorno inseguiva leghisti e 5 Stelle sperando in un governo di minoranza o in un esecutivo della non sfiducia.

Il super-presidente, eccolo in versione leggermente De Gaulle, anche se Napolitano ribadisce che la nostra è una repubblica parlamentare, definisce i presenti «responsabili del nulla» che la politica è riuscita a produrre (buoni a niente e incapaci di tutto, per dirla volgarmente, cioè in un gergo sconosciuto al Capo dello Stato e alla sua retorica classicheggiante come quella del Migliore e infatti il vecchio comunista Sposetti annuncia: «Togliatti è di nuovo tra noi!») e l’intero emiciclo invece di offendersi prorompe in grida di gioia: «Grazie, presidente!». Cercano l’assoluzione ma prima devono passare dalla contrizione. Vogliono essere salvati, anche se Napolitano confessa di non avere «nè illusioni nè pretese salvifiche», ma niente in politica è gratis. E loro si sottopongono docilmente a questa legge, celebrata in un coro di «sììììì» (quando lui, con il garbo ma anche con la nettezza che gli appartengono) dice loro che tra veti incrociati e vicendevoli faziosità hanno bloccato l’Italia. Onorata in un’orchestra di entusiasmi, quando lui li avverte che o si cambia registro o li abbandona al loro destino: «Bravo, presidente!». E’ la nemesi. O uno spettacolo tragicomico. Ma occhio a Berlusconi. Mentre Napolitano parla nell’emiciclo che pende dalle sue labbra, comprese quelle vendoliane che pure hanno tifato Rodotà, Berlusconi dal suo scranno con il dito indice a mezz’aria come fosse una bacchetta fa il gesto del direttore d’orchestra che segue o dà il ritmo alla musica e il suono delle parole del presidente lo ammaliano e lo esaltano. «Guardi qua - confiderà più tardi a un giornalista - mi sono trascritto i passaggi più importanti del discorso di Napolitano. Stasera me lo studio meglio. Andrebbe insegnato a scuola e pubblicato in un libretto. Magari lo farò».

GLI SCOLARI

La gioia di farsi rimproverare dev’essere incontenibile. E qui ci vorrebbe, in mezzo all’aula o al limite in Transatlantico o alla buvette, il redivivo Fabrizio De Andrè cha canta a democrat e pidiellini (gli uni dicono che Napolitano ce l’ha più con gli altri e gli altri sostengono che Napolitano ce l’ha più con gli uni) una delle sue strofe più belle: «Per quanto voi vi crediate assolti, / siete pur sempre coinvolti». Il governo faticosamente lo faranno e lo sanno tutti, perchè non hanno alternativa a farsi guidare dal Cincinnato. Infatti, tra il cortile e i corridoi, vanno in scena annusamenti e prove di accordo. Alessandra Moretti, bersaniana più o meno ex, è impegnata in un caminetto pomeridiano con Daniela Santanchè, sotto un gazebo nel chiostro. Più in là, summit tra il democrat Latorre e l’ex ministro Fitto, fedelissimo berlusconiano. Cos’è, gli viene chiesto, l’inizio del grande inciucio? «Ma noi sono trent’anni che inciuciamo», risponde sorridendo e esagerando Latorre, volpe del Tavoliere di Puglia. Denis Verdini, il plenipotenziario di Silvio, sconfina volontariamente nella zona del Transatlantico occupata dai democrat e se prima lo avrebbero preso a parolacce dopo il discorso di Napolitano lo hanno quasi cominciato a considerare (come si diceva una volta) «un «compagno che sbaglia».

PIANO CON LE MANI

Gli ex popolari e i bersaniani critici (quasi tutti) sonio quelli che sui banchi del Pd applaudono più sonoramente il super-presidente. Uno dei ”giovani turchi” commenta: «Hanno ancora nel palmo delle mani il sangue dei pugnali con cui hanno colpito prima Marini e poi Prodi». Beppe Civati fa una chiosa: «Molti dei traditori di ieri saranno i ministri di domani». Chissà. In ogni divanetto del Transatlantico si gioca un derby: tu per chi tifi, governo Amato o governo Letta. E se poi invece spunta il governo Chievo (chiamiamolo così, calcisticamente parlando), cioè l’esecutivo affidato da Napolitano a un outsider? Tra quelli del Pd, insieme al congresso («Meglio Renzi o Barca?», il quale è in aula in quanto ministro, conversa molto con tutti e quelli di Sel se lo mangiano con gli occhi come fosse il Che), si svolgono le consultazioni su chi di loro dovrà partecipare alle consultazioni che cominciano oggi sul Colle. Tra i berluscones tutti chiamano «ministro» tutti («Signor ministro Quagliariello?») e Alfano (vice-premier?) dice «buoni, state buoni», come in una celebre sequenza (ma lì è in romanesco: «Boniiiii, state bbboniiii...») di un film con Alberto Sordi. Mentre Berlusconi, in piena letizia da vice-padre della patria, celebra la giornata saltando da un gazebo all’altro delle tivvù piazzate in cortile e appena conclude il collegamento con Barbara D’Urso le dice: «Mi invita di nuovo in trasmissione, al più presto?».

SCILIPOTI E I CORAZZIERI

Nella goduria generale, la massima goduria da flagellazione sembra intanto averla provata Domenico Scilipoti, forse perchè si sente icona della bella politica caldeggiata da Napolitano. Ascolta il discorso in piedi, in posa mistica. E prima, mentre il Capo dello Stato entra a Montecitorio insieme a Grasso e Boldrini, il re sei peones cerca di intrufolarsi nel terzetto presidenziale ma viene respinto e portato via quasi di peso dai commessi. Per sua fortuna, essendo un tipo diversamente alto, non viene calpestato dai corazzieri. In questo caso quelli veri. Perchè ieri, più per obbligo che per scelta, corazzieri lo sono diventati tutti. Ma chissà quanto durerà.

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