Massacrato in metro a Roma, la madre al processo: «Una sigaretta poi il pestaggio»

Massacrato in metro a Roma, la madre al processo: «Una sigaretta poi il pestaggio»
di Marco Carta
Sabato 15 Aprile 2017, 08:14 - Ultimo agg. 12:56
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«Mio figlio aveva chiesto solo di spegnere la sigaretta, l'aveva detto a Luigi Riccitiello, che dopo poco gli è saltato addosso. È ancora sotto shock». Ha ricostruito in aula quel giorno terribile. Elena Vazzaz, ha raccontato di quando Antonio Senneca, Luigi e Gennaro Riccitiello, sotto l'effetto di droghe, hanno picchiato Maurizio Di Francescantonio su un vagone della metro B, riducendolo quasi in fin di vita. Un'aggressione violentissima con calci e pugni, dopo una serata estrema, costata ai tre giovani finiti a giudizio l'accusa di tentato omicidio.
Secondo il pm Luigi Fede, che aveva chiesto per gli imputati il rito immediato, i tre avrebbero potuto uccidere Di Francescantonio, 37 anni, massacrato senza pietà per avere chiesto di non fumare sulla metro. Alla prima udienza del processo, la madre della vittima, anche lei aggredita, ha confermato tutte le accuse contro gli autori della violenza, ripercorrendo in aula quegli attimi di terrore, immortalati in un video che è stato anche proiettato davanti ai giudici. Non ha dimenticato nessun dettaglio. Ha conservato, come cristallizzati, quei momenti infernali in cui la rabbia cieca dei giovani si è abbattuta su di lei e suo figlio Maurizio, che ha preferito non presentarsi in aula.

NIENTE VENDETTE
Emozionata, ma non vendicativa. Per Elena, ora, la priorità è solamente una: ottenere giustizia in tempi brevi. Per cancellare le ferite ci sarà tempo. D'altronde, sono passati poco più di 200 giorni da quel fatidico pomeriggio del 18 settembre, quando, insieme a Maurizio, si trovava sulla metro B. Un giorno che vorrebbe, ma non può. «Mio figlio è ancora sconvolto». Non bastano le scuse degli imputati. «Chiedo perdono, è stata una reazione sproporzionata. Chiedo scusa a Maurizio e a sua madre», ha detto per primo Antonio Senneca, difeso dall'avvocato Michela Rienzi. «Ho capito quello che avevo fatto solo dopo. Ero sotto l'effetto di alcol e stupefacenti» ha aggiunto Senneca, che sarebbe intervenuto nel pestaggio solo in un secondo momento a difesa dell'amico Luigi.

IL PESTAGGIO
Elena lavora in un albergo del centro e insieme a suo figlio sta tornando a casa, verso Tivoli. Sono le tre del pomeriggio, i due sono saliti a Termini e sono seduti in fondo al vagone, aspettando che il convoglio arrivi a Ponte Mammolo, dove avrebbero poi preso un bus regionale. A pochi metri di distanza da loro, un giovane si accende una sigaretta. E' Luigi Riccitiello e Maurizio gli si avvicina, chiedendogli di smettere. «Qui non si può fumare», dice al giovane, ma il rimprovero non viene preso bene. «Che c... vuoi?». E poco dopo scatta l'aggressione. Maurizio, inerme, viene prima scaraventato a terra con un colpo, poi preso a calci e pugni. Colpi violentissimi che lo riducono in fin di vita. Ad eccezione della madre, che affronta fisicamente gli aggressori riportando lievi ferite, nessuno interviene in suo aiuto. Neanche dopo la scarica di colpi, che gli causeranno un trauma cranico, una frattura della scatola cranica ed un'emorragia cerebrale.

I RESPONSABILI
Due dei tre giovani Antonio Senneca e Luigi Riccitiello, rispettivamente di 25 e 27 anni, vengono fermati poco dopo dalla polizia. Il terzo, il 22enne Gennaro Riccitiello, solo omonimo di Luigi, riesce invece a fuggire, ma verrà arrestato qualche giorno dopo a Napoli, incastrato dalle telecamere di video sorveglianza e dalle testimonianze dei presenti. La loro sarebbe stata «una condotta animata da volontà omicida diretta». Una volta interrogati, i ragazzi provarono a sminuire la portata del loro gesto: «Eravamo fatti». In aula, invece, visibilmente provati hanno chiesto scusa alle vittime.
 

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