Qual è la pena giusta per chi ha ucciso

Doina Matei
Doina Matei
di Pietro Piovani
Giovedì 14 Aprile 2016, 00:11 - Ultimo agg. 00:35
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La domanda più inutile che si
possa fare, in situazioni come
quella di Doina Matei, è: se la vittima,
Vanessa Russo, fosse stata tua sorella?

@R_DelloIacovo

Questo articolo non vuole parlare di Doina Matei, che nove anni fa con la punta di un ombrello uccise Vanessa Russo, e che fino all'altroieri poteva uscire dal carcere per alcune ore del giorno in regime di semilibertà. Né l'articolo intende partecipare al dibattito provocato dalle foto in cui la ragazza appare sorridente sulla spiaggia, e alla diatriba su quanto sia giusto che un'omicida mostri in pubblico la sua ritrovata serenità. Il punto su cui invece si vuole ragionare è un altro, e riguarda tanti altri casi oltre a quello della ragazza romena: la nostra società riconosce ancora a un criminale la possibilità di espiare la propria colpa? Ammette il principio della gradualità della pena? E considera ancora il carcere, oltre che una punizione, anche un luogo per recuperare le persone che delinquono?

Leggendo le accese (per non dire violente) discussioni di questi giorni sui social network, o ascoltando le più educate chiacchiere dei bar, si capisce che esistono nel paese due diversi modi di pensare e che il confine stia precisamente qui: per molti il codice penale è una legge del taglione che non deve impartire sanzioni ma ordinare vendette, seguendo possibilmente il famoso metodo del “buttare la chiave”. Se questa è la logica, allora certo nessuna detenzione può bastare di fronte all'omicidio di un innocente, poco importa se preterintenzionale. Ma quando una persona riesce a mettere alle spalle il suo passato criminale, e varca le porte del carcere perché ha imparato a vivere con gli altri e a lavorare, per la società è un successo o una sconfitta?

pietro.piovani@ilmessaggero.it
 
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