Alessia, in fuga a Londra per scelta
«I miei studi per i malati di cancro»

Alessia, in fuga a Londra per scelta «I miei studi per i malati di cancro»
di Erminia Pellecchia
Giovedì 19 Gennaio 2017, 08:00 - Ultimo agg. 09:10
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SALERNO - «Ero disperata, avevo lavorato tutto il giorno e stavo continuando i miei esperimenti di notte. Mancava poco, ne ero convinta, eppure tutto stava andando storto, volevo mollare. Erano le cinque del mattino, avevo gli occhi rossi per la stanchezza e le lacrime, il mio capo mi ha portato un bicchierino di whisky. Bevi tutto d’un sorso, mi ha detto scherzando, si schiariranno le idee, le migliori idee a me vengono in un pub. Sono astemia ma ho ascoltato il suo consiglio. Incredibile. Sono ritornata in laboratorio, ho trovato l’errore, ce l’avevo fatta. Ero riuscita a innescare un nuovo tassello nella ricerca per sconfiggere il cancro». Alessia Volpe, giovane biologa molecolare salernitana, trapiantata a Londra, è un’eccellenza mondiale della nuova frontiera della ricerca oncologica. È, infatti, tra gli scienziati del globo che stanno studiando le nanoparticelle intelligenti. Praticamente piccolissimi “shuttle” in grado di trasportare farmaci dentro le cellule tumorali, per una terapia mirata che riduca gli effetti tossici collaterali procurati dai farmaci chemioterapici e massimizzi l’efficacia delle molecole introdotte. I risultati, positivissimi, al momento li ha ottenuti sui topi, ma a breve sarà possibile sperimentare il trattamento sull’uomo. A novembre ha esposto a Berlino il lavoro di ricerca portato avanti al King’s College, dov’è Phd in Oncologia molecolare e Imaging Cancer, a dicembre, sotto l’albero, la bella sorpresa di essere stata nominata ambasciatore dell’European Association for Cancer Research, che raggruppa i maggiori professionisti che studiano le patologie oncologiche. 

Sei una bandiera per l’Italia e purtroppo, per noi, l’ennesimo cervello in fuga.
«Un’espressione che non mi piace, non mi sento in fuga, non sono una migrante, quella di andare all’estero è stata una mia scelta, accarezzata fin dall’ultimo anno di università. Ci pensavo già da liceale al Tasso, poi mi sono iscritta a Biologia a Napoli, ho fatto un internato di due anni e mezzo al Cnr e ho preso contatti con istituti d’eccellenza esteri. Avrei potuto fare la ricercatrice anche in Italia come tanti altri, ma è questione di ambizioni personali. Qui avrei dovuto mettermi in fila, vedere persone meno preparate passarmi avanti, nel caso migliore trovarmi in un laboratorio senza risorse finanziarie. Oltre confine è tutt’altra cosa, ci sono standard alti. Ti prendono solo se meriti. Non voglio vantarmi, ma la selezione per approdare al King’s è stata dura, primo ostacolo la lingua, devi parlare l’inglese come se fosse la tua lingua madre».
Com’è stato il distacco dalla tua città?
«L’ho vissuto serenamente, anche perché la mia famiglia ha capito le mie ragioni e mi ha incoraggiato. Mi mancano i miei genitori ed i miei amici, ma oggi con internet sei continuamente in contatto. E poi i voli per l’Inghilterra costano pochissimo, quando posso e voglio ritorno. A Londra mi sono fatta nuovi amici, è una città bella, effervescente, soprattutto dal punto di vista culturale, ci sono musei straordinari, gallerie d’arte contemporanea, teatri. Per me che vivo la maggior parte del tempo rinchiusa in ospedale è una boccata d’ossigeno respirare l’arte, cenare i un ristorantino, fare due chiacchiere spensierate in un pub. La cosa che più mi entusiasma è che a Londra c’è l’intero mondo, è stimolante interagire con culture differenti».
Sei interna al St Thomas Hospital.
«E questo aiuta molto. Non sei isolato in un laboratorio, i tuoi studi non sono astratti. Stare a contatto con i malati di cancro ti dà un’energia in più, ti fa capire il senso di quello che fai. E allora, anche se sei stanco, vai avanti a muso duro, sai che quello che fai è combattere per la vita. È questo impatto emotivo con la sofferenza che ti dà la forza mentale e interiore. Ti rendi conto che quello che fai ha valore, ti ricorda che la conoscenza è importante, aiuta a salvare vite. L’altro aspetto significativo è che operi in équipe, la sana competizione assume la forma di un’intensa collaborazione. Ed è importante il confronto, con quelli come te e con i tuoi tutor, se vuoi raggiungere il meglio per la tua crescita personale e professionale».
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