De Carlo, l'imperfetta meraviglia
«Ritroviamo il gusto dello stupore»

De Carlo, l'imperfetta meraviglia «Ritroviamo il gusto dello stupore»
di Erminia Pellecchia
Venerdì 13 Gennaio 2017, 00:35
3 Minuti di Lettura
SALERNO - Una giovane gelataia italiana, Milena, alchimista che mescola colori e sapori alla ricerca della quintessenza dell’armonia. Anche se fuggevole, «perché l’equilibrio del gelato è instabile per definizione». Una rockstar inglese, Nick, cinquantenne, decenni trascorsi sui palchi, un ribelle che il successo ha trasformato in un prodotto da supermercato. Sradicati, irregolari, incerti sulla loro appartenenza al mondo, si incontrano nel terreno neutro della Provenza, dove lei ha messo su la sua bottega e lui ha una villa. Sono i protagonisti de «L’imperfetta meraviglia», ultimo romanzo, il diciannovesimo, di Andrea De Carlo, il primo per la Giunti editore, «perché ha uno spirito positivo, è un buon compagno di viaggio per raggiungere i lettori». È un libro che prende già dalle prime righe, leggero e profondo. Scorre come un bel film, lo leggi e ti suona dentro con l’intensità di una colonna sonora d’autore. Lo scopriremo oggi, ore 17, alla libreria Imagine’s Book di corso Garibaldi. A Salerno. “Sfogliandolo” con le suggestioni dello scrittore milanese in dialogo con Cristina Marra.

Ci stimola e offre una chiave di lettura da subito la copertina.
«È vero, quel gelato fermato nella sua perfezione. Apparente, perché c’è una piccola goccia che cola e annuncia la sua prossima liquefazione. La fotografia è mia, ho trascorso un intero pomeriggio per realizzarla, complice un’amica gelataia. Era estate, i coni si scioglievano e noi testardi a provare e riprovare. Ecco, il gelato è una meraviglia che dura pochi attimi, lo devi gustare finché c’è. È la metafora della vita: la meraviglia è uno stato di sorpresa, di fascinazione, ma non è permanente, dobbiamo apprezzarla quando c’è. Purtroppo oggi siamo impermeabilizzati, troppo concentrati su noi stessi, non riusciamo più a meravigliarci, a cogliere i segnali che ci vengono dalle cose, dalle persone. Dovremmo imparare nuovamente a stupirci, perdersi e stupirsi ancora».
È un romanzo che parla di scelte, che pone domande.
«È la mia natura, mi pongo continuamente interrogativi e li rivolgo agli altri. I miei libri non sono mai un monologo, mi muovo tra l’io interiore e il fuori da me, cerco un filo diretto, voglio condividere i miei pensieri, le mie perplessità. Ho l’urgenza di scrivere, la necessità primaria di esplorare, di ricercare il senso delle cose, di scoprire me stesso e gli altri. Ho scritto molti libri, ma non ho mai rincorso il facile successo. Nel mio mestiere, ma vale per chiunque faccia attività artistica, c’è il pericolo di recitare sempre la stessa parte, di replicarsi. Io scrivo per il piacere di farlo, cercando sempre modi nuovi; se un giorno dovessi perdere l’entusiasmo, la curiosità, il rapporto vivo con i lettori, allora appenderò la penna al chiodo. Ecco, mi sento di somigliare di più a Milena, che è un’artista nel suo rincorrere la bellezza, che a Nick che le riconosce il senso artistico che ha perduto».
È un libro con molti riferimenti all’attualità: la paura del terrorismo, l’omosessualità, la fecondazione assistita...
«Scrivo del mio tempo, sono un testimone di questo tempo e racconto i temi forti della nostra vita contemporanea, i dubbi come le angosce».
Lei ha viaggiato molto ed ha incontrato luoghi di meraviglia.
«Sì, è vero, ho girato il globo e visto paesaggi spettacolari. Ma c’è un posto che mi emoziona sempre, come se ogni volta lo vedessi con gli occhi della rivelazione. È la Costiera amalfitana, Positano in particolare. Ci sono stato in vacanza con i miei genitori a tredici anni, poi ci sono tornato spesso. Ho soggiornato a Ravello, ho visitato angoli e borghi segreti. Mi affascina la geografia, la storia, la stratificazione di civiltà che l’hanno resa tale. Magica».
© RIPRODUZIONE RISERVATA