Fonderie, scoperto il doppio
«trucco»: prescrizioni violate

Fonderie, scoperto il doppio «trucco»: prescrizioni violate
di Giovanna Di Giorgio
Domenica 26 Giugno 2016, 14:24 - Ultimo agg. 15:45
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È tutto da dimostrare e il provvedimento dovrà essere sottoposto alla convalida del gip. Ma le accuse messe nero su bianco dai pubblici ministeri nel decreto di sequestro preventivo d'urgenza emesso dalla Procura della Repubblica per stoppare le attività delle Fonderie Pisano sono molto dure. L'impianto non solo «è privo di valida autorizzazione in quanto quella esistente è illegittima, illecita e inefficace», ma «non rispetta i limiti e le prescrizioni imposte dalla pur illegittima autorizzazione». Il nodo è tutto nei motivi dell'illegittimità dell'Aia: richiesta «tardivamente» per «impianto esistente», è stata poi concessa per «nuovo impianto» ma senza la prevista Valutazione di impatto ambientale. Sulla base, inoltre, di «false dichiarazioni» della proprietà. Nel mirino dei pm, dunque, non c'è soltanto il reitero negli anni degli stessi reati ambientali che, rilevati dall'Arpac nelle ultime ispezioni, avevano portato a due fermi amministrativi dell'impianto prima del sequestro penale dell'altro giorno.

Scarico di acque reflue inquinanti, gestione illecita di rifiuti speciali e pericolosi, emissioni nocive in atmosfera, danneggiamento di beni pubblici, gettito di cose idonee a molestare le persone, infatti, erano già emersi nel corso dei mesi scorsi, a partire dalla relazione dell'Arpac di Caserta redatta a seguito del blitz disposto dalla Procura. Oltre ai reati ambientali, emergono anche quelli relativi alla sicurezza, con la violazione della normative antincendio e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Infine, e soprattutto, i pm Carlo Rinaldi, Maricarmela Polito e Silvio Guarriello, insieme al procuratore capo Corrado Lembo, contestano l'abuso d'ufficio e la falsità materiale e ideologica per i rilascio dell'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale grazie alla quale l'opificio funziona. Reati, tutti, che hanno portato all'iscrizione di ben sette persone nel registro degli indagati. Il nocciolo della questione ruota intorno al rilascio dell'Aia, nel 2012. Provvedimento da sempre contestato dai comitati cittadini di Fratte. I giudici parlano di una «macroscopica illegittimità ricavabile nella fase genetica dell'atto stesso: il provvedimento autorizzativo è stato rilasciato su istanza tardivamente presentata per impianto esistente, ricevuta, poi, come istanza per un nuovo impianto» ma non conseguentemente gestita come tale. Nelle trenta pagine del decreto la questione è ben sviscerata. «L'autorità compente regionale considerava ricevibile l'istanza di rilascio Aia presentata in data 1/8/2011 per impianto esistente, pur essendo scaduto in data 31/3/2008 il termine di utile presentazione per tale tipologia di istanze e pur non rientrando l'impianto nella nozione tecnico legislativa di impianto esistente, atteso che non si trattava di impianto munito al 10/11/1999 delle autorizzazioni o provvedimenti ambientali ovvero delle relative richieste complete, necessari all'esercizio».

In altre parole, i Pisano hanno chiesto con quasi tre anni e mezzo di ritardo il rilascio dell'autorizzazione per «impianto esistente» e la Regione non solo non ha respinto l'istanza «tardiva», ma quando ha avviato la procedura lo ha fatto come se si trattasse di un «nuovo impianto». Non soltanto. Infatti, «veniva avviata la procedura per il rilascio Aia come se si trattasse di nuovo impianto, ma non si esigeva e avviava la prescritta procedura di Valutazione di impatto ambientale e di Incidenza, necessarie, in tal caso, in ragione della tipologia dell'impianto e della sua ubicazione». Cioè, alla ditta, per il rilascio dell'Aia come «nuovo impianto», non è stata richiesta la Via. Del resto, dopo che la Regione Campania, la scorsa primavera, ha chiesto alla ditta un riesame dell'Aia e della Via, i Pisano hanno fatto ricorso al Tar per opporsi contro quest'ultima richiesta. Considerando l'ubicazione della fabbrica, infatti, superare la valutazione di impatto ambientale non è scontato. Proprio l'ubicazione, dunque, gioca un ruolo centrale: «Nel corso del procedimento per il rilascio dell'Aia, si ometteva di rilevare la «falsità dell'attestazione contenuta nella relazione redatta dall'ing. Luca Fossati, prodotto in autocertificazione dal richiedente Luigi Pisano circa la non esistenza di vincoli». Il capostipite della famiglia, poi deceduto, aveva cioè dichiarato che nel «considerato raggio di 500 metri non sono presenti aree protette, biotipi, vincoli». La realtà, tuttavia, appare diversa: «Circostanze false scrivono i giudici - in quanto nell'area di riferimento erano vigenti vicoli di tutela e/o di salvaguardia ambientale, paesaggistici e idrogeologici». Vincoli, cioè, relativi sia al vicino Parco dell'Irno che è di interesse regionale - e che è stato anch'esso interessato da scarico di acque reflue inquinanti che al fiume Irno e alle sue sponde, come segnalato dal ministero dell'ambiente.

Tutti elementi, insomma, uniti ad altri episodi segnalati, che fanno parlare di «carenze, contraddizioni, anomalie» nell'Aia, oltre che nella procedura del suo rilascio. Nel ripercorrere l'iter che, dallo scorso novembre, si è poi concretizzato nella misura cautelare emessa l'altro ieri, i magistrati sottolineano come, negli anni, siamo emerse sempre le stesse criticità e commessi le stesse violazioni delle norme ambientali. I pm parlano di una «costante presenza, negli anni, dei consueti profili di criticità ambientale legati alle emissioni e all'inadeguatezza delle strutture, e un approccio mai definitivamente risolutivo nelle varie sedi e fasi di controllo. Tali carenze, lungi dall'essere state superate dopo il conseguimento dell'Aia, si sono rivelate ulteriormente e più gravemente presenti» proprio a partire dall'ispezione straordinaria avviata dalla autorità giudiziaria ed effettuato a novembre dal dipartimento Arpac di Caserta. «Pur in presenza delle dettagliate, numerose e reiterate prescrizioni impartite ai responsabili della Fonderia Pisano scrivono - i reati non sono mai venuti meno». E, ancora, ribadiscono come atti e documenti provenienti da organi tecnici dimostrano come «la violazione della normativa ambientale non si sia mai interrotta». Più nello specifico, «elemento costante nel corso degli anni si legge - è criticità legata alla presenza di polveri e fumi, in assenza di sistemi di captazione, l'esercizio dell'attività fino al 2012 in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, in assenza di qualsivoglia altro provvedimento ambientale e in assenza di Aia».

I magistrati si esprimo anche sull'impianto, ritenendolo «strutturalmente inidoneo al funzionamento in conformità alla vigente normativa ambientale e di sicurezza sui luoghi di lavoro» e «inidoneo a ottenere l'autorizzazione al funzionamento come nuovo impianto».
Sostengono che l'opificio «può essere definito, senza remore, fatiscente e vetusto, nonostante i tentativi di adeguamento». Tutto ciò, naturalmente, ha portato i pm non a indagare sette persone e a chiedere il sequestro preventivo dell'impianto. Infatti, scrivono: «Le attività dell'impianto costituiscono un pericolo attuale e concreto, sia per l'ambiente esterno e la salute della popolazione, sia per gli stessi lavoratori. Questi ultimi sono costretti a operare in un ambiente di lavoro insalubre e in contrasto anche con le disposizioni finalizzate a prevenire incendi o esplosioni». Ma a rischio, evidenziano, non c'è solo «la incolumità dei dipendenti ma anche la incolumità pubblica». Trovandosi lo stabilimento nel centro abitato può determinare «un grave pericolo per le persone dimoranti nei pressi, in relazione alle immissioni dei fumi».
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