Ottanta euro per diventare subacqueo
la truffa dei brevetti

Ottanta euro per diventare subacqueo la truffa dei brevetti
di Francesco Lo Dico
Domenica 21 Agosto 2016, 14:08 - Ultimo agg. 23 Agosto, 18:10
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Laggiù dove pensieri ed emozioni diventano frastuono, basta un nonnulla. Un piccolo balzo, lo stridio di una pinna, un momento d’apnea basta a svegliare d’un tratto quei mostri che Alcmane cantava dormienti nel fondo cupo del mare. Nel regno degli abissi, dice Maiorca, dominano due leggi: grande rispetto e grande paura. Tradirle equivale a una sentenza di morte. Talvolta il destino è il demone che si acquatta in un cunicolo, l’orco che si agita nel limo polveroso che acceca e paralizza. Più spesso il mare annega invece gli incoscienti, gli ingenui che senza poesia comprano brevetti suicidi nella giungla dei diving improvvisati che regalano certificazioni in sole due immersioni, gli spericolati che infrangono le regole del buon senso perché le leggi dello Stato sono assenti. 

A partire dall’Italia, dove a fronte di una popolazione di subacquei stimata in 300mila persone, ma in costante crescita, non esiste alcuna legge nazionale, che imponga l’obbligo di avere un brevetto per fare immersioni a scopo ricreativo. A parte alcuni parchi marini protetti da regolamenti interni e talune capitanerie di porto come Reggio Calabria e Gallipoli, il mare verticale nazionale è terra di nessuno. Chiunque sia preso dal ghiribizzo di scendere in profondità, può liberamente comprare un autorespiratore, ricaricare una bombola e provare il brivido dell’abisso senza dover presentare un brevetto a nessuno. E comunque senza tema che un qualche controllore, possa levargli improvvisamente la paletta in faccia all’ingresso di una grotta sottomarina. Se si prende a riferimento il dato mondiale, che computa in 30 milioni i subacquei certificati, e in 6 milioni quelli di frodo, la proporzione è presto fatta: nelle acque italiane, un immersione su cinque avviene senza titolo né addestramento.

A disposizione degli appassionati che intendono brevettarsi, o proseguire nell’attività subacquea, pullulano nelle coste del Paese 1593 diving center, di cui 816, ossia più della metà, si trovano al Sud: 121 in Calabria, 124 in Campania, 149 in Puglia, 186 in Sardegna e 236 in Sicilia. La maggior parte di questi, sono sulla carta affidabili e sicuri, perché affiliati alle associazioni nazionali internazionali che, come la Fias, Fipsas e Padi assicurano standard di formazione elevati. Accanto a questi, una congerie imprecisata di associazioni e club, organizzano tuttavia immersioni a vario titolo secondo norme che definire vaghe, sarebbe eufemistico. Ma sovente, sia nei centri accreditati che in quelli «sommersi», le consuetudini reali tradiscono gli impegni formali. Innanzitutto perché, come spiega il veneziano Marcello Polacchini, guida subacquea con alle spalle centinaia di immersioni, «i diving vivono dei soldi per le immersioni, quindi potrebbe essere che si organizza una prima immersione di “introduzione” e poi, una volta visti in acqua, se vi vedono sicuri di voi vi portano ovunque». «Se si va da un diving insieme a degli amici che le guide conoscono già, che indicano la vostra capacità di fare una certa immersione - racconta Polacchini - il brevetto non è più un problema». Un’esperienza comune a molti, che talvolta permette anche a chi è in possesso di un brevetto Open Water che consente di andare fino a 18 metri, di visitare grotte marine a oltre 40 metri di profondità, che richiederebbero un corso avanzato specifico. Il salto è piuttosto azzardato se si considera che esistono tre livelli di corsi, che abilitano rispettivamente a scendere a 20, 30 e 40 metri. Specie perché, oltre i 40 metri di profondità, finisce l’attività ricreativa che costituisce l’ottanta per cento delle immersioni in Italia. Ma alla compiacenza di alcuni diving center, si aggiunge l’incoscienza di molti brevettati. «È convenzione - ha raccontato l’anno scorso su Libero Filippo Facci che di subacquea è un appassionato - che i detentori di un solo brevetto non scendano oltre i 18 metri: ma non ho mai incontrato nessuno in vita mia - mai - che si attenesse alla regola». 
Incidenti e pericoli sono dietro l’angolo per tutti, anche per colpa di controlli sanitari pressoché inesistenti. Incidenti come quelli occorsi al 23enne greco Panaiotis Telios, che il 30 giugno perse la vita nel mare di Palinuro. Soffriva d’asma e non avrebbe potuto per questo avere il brevetto per le immersioni. Perché lo ha avuto? Perché nella maggior parte dei casi, a chi vuole ottenere un brevetto basta produrre un’autocertificazione di buona salute. «Agli aspiranti subacquei sportivi, per l’accesso ai corsi di brevetto, raramente è richiesta una certificazione medica esaustiva», spiega il dottor Carmelo Mastrandrea. A rischio non sono soltanto i neofiti, ma anche e soprattutto i subacquei esperti, che una volta preso il brevetto OWD sulla base di una certificazione o autocertificazione sanitaria, possono immergersi a vita senza alcun obbligo di ulteriori controlli.

Se i diving center italiani forniscono qualche garanzia, quelli legati ai villaggi vacanze fuori dai confini sono un autentico supermarket di quelli che gli esperti chiamano brevetti suicidi. Regina della specialità è Sharm El Sheik, dove alcuni diving center reclamizzano anche in rete le loro offerte: per il brevetto da sub bastano tre immersioni e due giorni di addestramento con pacchetti che partono dal modico prezzo di 80 euro, a un massimo di duecento. Sub in 48 ore. I cupi mostri che Alcmane cantava in fondo al mare, a volte dormono dentro di noi. E, alle volte, spalancano enormi le fauci dell’abisso.
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