Scelzo: «Salernitana, una Luce spenta:
cortocircuito con l'immagine della città»

Scelzo: «Salernitana, una Luce spenta: cortocircuito con l'immagine della città»
di Carla Errico
Giovedì 1 Dicembre 2016, 19:19
4 Minuti di Lettura
«A Salerno il calcio è un portabandiera. Un simbolo identitario. Qui l’immagine conta molto, e la città in questo momento gode di un’immagine in positivo. Quando la squadra non va bene il discorso finisce sempre sulla città. E i salernitani non si rassegnano a un declassamento percepito come non soltanto sportivo. Diciamo che tra tante Luci d’artista quella della Salernitana appare spenta. C’è stato un corto circuito dalle parti dell’Arechi». Angelo Scelzo, già vicedirettore della Sala stampa in Vaticano, è conoscitore profondo degli umori della sua città prima che tifoso granata. Sullo strappo consumato tra allenatore e città, le sue idee chiare sono un punto fermo di riflessione.

Dopo il pari col Pro Vercelli Sannino ha detto: a Salerno non avete mai visto calcio.
«Si può capire un atteggiamento di delusione dopo un altro pareggio in casa. Ma quella frase è stata davvero infelice. Non ha nessun fondamento di verità. A Salerno il calcio si è visto eccome. Non a livelli altissimi, certo. Ma con una lunga storia di militanza. Da rispettare. Tantissimi anni in serie C, pochi in B, un fugace passaggio in A. E c’è anche un aspetto culturale da non sottovalutare».
Quale?
«La cultura calcistica salernitana è superiore a quella della stessa militanza della squadra. Forse Sannino non lo sa, o nella rabbia del momento l’ha dimenticato, ma qui è stato inventato il Vianema: un modulo che ha fatto la storia del calcio. Salerno ha avuto allenatori che hanno fatto scuola, quanto a tattica e visione strategia. Da Gipo Viani a Puricelli, a Tom Rosati...».
A Delio Rossi.
«Già. L’allenatore di maggior spicco degli ultimi anni. Rossi è colui che ha dato il carattere, l’imprimatur al nuovo corso della Salernitana. Con lui la squadra si è insediata stabilmente in serie B».
Appena arrivato, anche Rossi non incontrò il favore dei tifosi. Fu addirittura aggredito, a Lagonegro.
«Vero. Ma sono storie diverse. Al suo arrivo Rossi era un perfetto sconosciuto, l’aiutante di Zeman a Foggia. Un carneade di 33 anni. Un’incognita. E a Salerno si è abituati a puntare su un nome, non su un signor Rossi qualsiasi. Lui, però, ci ha messo davvero poco tempo per farsi apprezzare. Fin dalle prime partenze la città ha capito che era un allenatore di valore».
Sannino invece?
«Penso che abbia sbagliato approccio. A me è sempre sembrato uno destinato ad essere di passaggio. Il suo atteggiamento era quello di chi pensa che Salerno dovesse essere contenta di avere un allenatore come lui. Un atteggiamento di presunzione, di distacco, che ha inciso sui rapporti con le tifoserie. E probabilmente anche con la squadra. Un bravo allenatore, sì, ma caratterialmente piuttosto difficile. Quando si è trovato dinanzi ai nodi da sciogliere, ha avuto difficoltà di dialogo con la squadra e con la realtà cittadina».
Nessuna colpa ai tifosi? Non ci sarà un eccesso di pressione, di aspettative verso i granata?
«Sul piano generale Salerno è notoriamente una piazza calda. Ogni allenatore sa che qui non avrà vita facile, che la pressione sul rendimento è forte. Salerno non si rassegna a non avere una squadra stabilizzata almeno in serie B. A conseguire la salvezza per il rotto della cuffia, com’è accaduto. Con la paura di retrocedere in C. In quello che la città ha conosciuto a lungo come l’inferno del calcio. Lo vive come un incubo. Un declassamento non solo sportivo».
Perché?
«Perché il calcio è un momento di identità forte. E mentre la città gode di un’immagine positiva, giusto o sbagliato che sia, non si sopporta che la squadra sia ridimensionata. Accade anche in altre città, certo. Ma oggi Salerno è al centro delle attenzioni come riferimento positivo. Quando vai in giro senti parlare di Luci d’artista, di sindaco efficientista... E se la Salernitana va male, sembra un corto circuito».
Il pallone come il patrono, la Salernitana come San Matteo?
«Non vorrei confondere le cose. San Matteo è l’altare. La Salernitana è la piazza, la vita quotidiana di cui il calcio è parafrasi. Un romanzo popolare che si vive nella quotidianità».
Come vede Bollini? E il futuro granata?
«Bollini è una scelta aziendale, un tecnico espressione della Lazio di cui la Salernitana con Lotito è una sorta di succursale. Spero possa fare un campionato tranquillo, senza patemi. Poi, per il futuro, bisognerebbe alzare un po’ il tiro. Sarebbe ora che si inizi a pensare che in B la Salernitana ci sta un po’ stretta». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA