Tenta di bruciare genitali alla moglie
5 anni per sequestro e sevizie

Tenta di bruciare genitali alla moglie 5 anni per sequestro e sevizie
di Nicola Sorrentino
Mercoledì 21 Giugno 2017, 18:27
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PAGANI. Cinque anni e due mesi di carcere per aver torturato e picchiato la moglie. Questa la sentenza per un marocchino di 33 anni, C.K. , residente a Pagani e arrestato nel maggio 2016 dopo la denuncia della vittima, fuggita di casa dopo l'ennesima sevizia. L'uomo era accusato di lesioni gravissime, sequestro di persona e maltrattamenti. La donna era stata segregata in casa e torturata più volte. La porta della stanza dove era rinchiusa era bloccata con una catena, così come le finestre. Il motivo era riconducibile alla gelosia dell'uomo e ad un presunto tradimento di cui la donna si sarebbe macchiata. La violenza peggiore che subì fu vedersi cospargere con del liquido bollente le parti intime. Nell'ordinanza, il gip motivò il significato di quel gesto: «Le zone erogene colpite simboleggiano la femminilità che l’indagato voleva aggredire per punire l’infedeltà, vera e presunta, della donna nei suoi confronti». Riuscita a fuggire di casa, la donna fu soccorsa in strada da una persona, che si rivolse ai carabinieri. A questi ultimi, la giovane raccontò quanto aveva subito: «L’ultima volta che sono uscita con lui era aprile per fare la spesa. Nel periodo in cui mi ha chiusa in casa l’ho raccontato a mia mamma e lei mi disse di scappare altrimenti lui mi avrebbe uccisa. Alle sette e mezza di sera mi ha chiesto di spogliarmi nuda e di confessare se avevo relazioni, io ho negato. Mi ha insultato, ha iniziato a picchiarmi dicendo che ero una prostituta, mi ha preso a schiaffi, pugni, calci, morsi su piede e spalla, fino a colpirmi in viso con una testata e mi ha rasato i capelli. Poi mi ha colpito con un calcio sotto la gola forse mentre ero seduta».

L'uomo era convinto che la moglie avesse intrattenuto rapporti con altre persone, mentre lui era a lavoro. Sospetti alimentati da un lavoro che la stessa aveva avuto, in passato, a Dubai. «Mi ha legato stretto polsi e caviglie con una fascetta bianca - raccontò la vittima - e ha minacciato di uccidermi, ha preso un cucchiaio di plastica vicino ai fuochi della cucina e ha iniziato a sciogliermela sull’inguine dicendomi che con quelle parti io l’avevo tradito e per questo andavano bruciate. Mi ha versato la plastica sul ventre, obbligandomi a girare a terra, facendomela colare dietro, tra le natiche, continuando a minacciarmi di morte. Io urlavo, piangevo e chiedevo pietà. Poi si è addormentato, e io sono scappata, con i telefoni e i documenti e il Corano». La fuga terminò al pronto soccorso di Nocera Inferiore, dopo un aiuto concesso da una donna di San Giuseppe Vesuviano, dove risiedeva una parente della soccorritrice casuale. Poi partì la chiamata al 118, con l'arresto, l'inchiesta e ora la condanna.   
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