Attirata in una trappola e violentata
a 16 anni: «Mi fidavo di un mostro»

Attirata in una trappola e violentata a 16 anni: «Mi fidavo di un mostro»
di ​Francesco Romanetti - INVIATO
Martedì 28 Giugno 2016, 11:47 - Ultimo agg. 12:24
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San Valentino Torio. Di tutta questa brutta storia sappiamo solo una cosa con certezza: lei è una piccola grande donna. È piccola, relativamente piccola, perché ha solo 16 anni. È piccola davvero perché è piccolina di statura. Esile, carina, lunghi capelli neri, occhiali. In realtà non è neanche ancora una donna, ma solo una ragazzina. Però è grande, una grande donna, perché ha fatto quello che molte donne adulte non osano fare: ha avuto la forza e il coraggio di raccontare tutto, di denunciare, di gridare lo schifo e l'orrore che ha subìto. Su di lei, sul suo corpo esile e indifeso, sono stati in cinque. Uno dopo l'altro.

Il suo corpo è stato violentato, umiliato, usato come un oggetto. E loro cinque hanno violentato, umiliato, usato una ragazzina come un oggetto. Di questa storiaccia avvenuta in una afosa sera d'estate a San Valentino Torio - diecimila abitanti, un paesino vicino a Sarno, di tradizioni contadine, ordinato e pulito, dove si fa l'infiorata e dove ogni anno si celebra la festa degli innamorati - si sa poco e si sa tutto, si possono immaginare i risvolti più orribili e si possono delineare con sufficiente verosimiglianza i contorni più ovvi e banali, che hanno trasformato cinque adolescenti di provincia (i colpevoli della violenza di gruppo hanno un'età compresa tra 15 e 17 anni) in cinque spietati mostri. Spietati e spaventosi mostricciattoli: eccitati dall'idea di potere fare tutto, orrendamente sicuri che è così che va il mondo. Convinti che tutto può diventare oggetto del proprio piacere. Anche se questo oggetto è una ragazza della tua età. E anche se questa ragazza è una tua amica.

Di uno di loro, lei si fidava. Uscivano insieme. Si conoscevano da tempo. Si fidava. Fino alla sera calda e asfissiante di domenica scorsa. Corso Matteotti è la strada principale di San Valentino Torio. Sbocca in piazza Spera, dove c'è la chiesa della Consolazione. Poi dalla piazza di dirama una breve strada che finisce in uno slargo. Edifici recenti. Palazzetti di pochi piani. Il supermercato «Sole 365» si trova di faccia a chi viene da piazza Spera. A sinistra del supermercato, c'è la palestra «Strong Gym». E da lì una rampa porta ai garage: tre o quattro box sono chiusi. Poi basta abbassare la maniglia di una grande porta metallica, che si apre a scorrimento, e si entra in un ampio locale sotterraneo, squallido e buio, al di sotto degli appartamenti di una palazzina giallognola. È lì che l'hanno costretta a scendere. Alcune telecamere di sorveglianza mostrano due di loro che la spingono e la strattonano. Qui si è consumato l'orrore.

Tra barattoli di vernice vuoti, stracci sporchi, qualche bottiglia abbandonata. Forse è avvenuto su un grande foglio ripiegato: un annuncio pubblicitario con un'immagine di fiori e piante. Probabilmente uno dei cinque, a turno, sorvegliava l'entrata. Probabilmente quando lei ha gridato ed ha chiesto aiuto, nessuno la poteva sentire. Eccoli, i cinque «mostri». Sorridono in una foto di gruppo, postata tempo fa su Facebook. Sorridono, come tutti i ragazzi della loro età. Qualcuno ha i capelli rasati, qualcuno porta l'orecchino. Qualcun altro indossa quei pantaloni strappati sulle ginocchia che piacciono ai ragazzi della loro età. Sorridono, stretti nelle loro giacchette attillate, che danno un tocco di innocenza, di festa paesana, al gruppo di amici che si tengono le braccia sulle spalle.

«Questo qui fa il muratore - racconta L. C., una ragazzina che indica sulla foto il ragazzo con ciuffo e capelli rasati - Era stato bocciato un sacco di volte e così era andato a lavorare con il padre». Un altro frequenta l'istituto alberghiero di Nocera. «È questo qui - dice L. C. - questo un po' robusto». Uno ha il padre cha fa il camionista, un altro è figlio di un commerciante. Quelli che vanno a scuola hanno appena finito il primo anno delle superiori. «A qualcuno di loro ho dato io la prima comunione. Li conosco da quando erano bambini».

Don Alessandro Cirillo è da nove anni il parroco della chiesa di San Giacomo Apostolo. Questi ragazzi, questi che oggi sono i «mostri», li ha visti crescere. Poi li ha visti sempre un po' meno. Poi non li ha visti più. E oggi dice che non riesce a riconoscerli: «Venivano all'oratorio.

Quando ho saputo quello che era accaduto mi sono detto che questo è il frutto malato della società che abbiamo generato, dove i genitori non hanno più tempo per stare con i figli e dove i valori si fa fatica a distinguerli. Dove i ragazzi magari crescono a pane e pornografia e sono portati a pensare che una donna è solo una cosa, un oggetto. Mi chiedo che figli stiamo crescendo. Sì, mi metto anche io tra i genitori, sono pure figli miei questi cinque ragazzi. E purtroppo oggi mi sento di dover dire che ho fallito anch'io, come sacerdote ed educatore. Ora questi ragazzi meritano di essere rieducati, ma seguendo un cammino serio. Una tiratina di orecchie non basta, devono capire fino in fondo il male che hanno fatto. Né potrà bastare magari qualche avvocato difensore che sosterrà la tesi che sono stati incoraggiati dalla ragazza...». Nelle immagini delle videocamere di sorveglianza del garage, si vede lei che cerca di divincolarsi. E lei ieri ha scritto anche qualcosa sul suo profilo Facebook: «Pugnalata da chi credevo che fosse mio amico...Mi hanno lasciato un segno indelebile che non dimenticherò facilmente, anzi penso che non dimenticherò mai...Mi sono fidata di un mostro...ma ringrazio anche me stessa che mi sono fatta forza ed ho raccontato tutto ai miei andando dai carabinieri a sporgere denuncia...Grazie a tutti per esservi preoccupati, anche se non posso dirvi che sto bene. Ora hanno confessato tutto ai carabinieri. Mi dispiace per i loro genitori. Grazie a tutti». Poi il messaggio si chiude con un cuoricino. Come fanno le ragazzine di sedici anni.

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