Vignola, l'ultima lezione
della passione socialista

Mario Vignola, ex senatore Psi alla destra di Pietro Nenni in un comizio ad Eboli negli anni della ricostruzione 1945
Mario Vignola, ex senatore Psi alla destra di Pietro Nenni in un comizio ad Eboli negli anni della ricostruzione 1945
di Antonio Manzo
Lunedì 7 Agosto 2017, 18:43
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Eboli. Il primo gesto di rivolta politica Mario Vignola lo firma a diciotto anni, giovanissimo studente liceale nella città di Eboli che cammina sulle macerie della guerra. Ha diciotto anni, nel dicembre del 1945, e guida un comitato studentesco del liceo classico “Perito”. Scrive, anche per conto dei suoi compagni, con il pennino su un foglio di carta povera, un documento di protesta contro la caduta del governo di Ferruccio Parri che segna la fine dell’Italia della Resistenza nell’Italia moralmente e materialmente distrutta. Con poche righe di incredibile spessore civile, nella città lontana dai grandi eventi ma già innervata dal senso politico che avevano garantito ad alcuni giovanissimi le lezioni di un confinato politico comunista come Mario Garuglieri, Mario Vignola segna l’inizio della carriera di socialista che parlerà alle passioni del popolo da senatore socialista per quattro legislatura, dal 1968 nal 1983, eletto sempre nel collegio di Eboli.
Mario Vignola arriva da una famiglia di antifascisti tenaci, uno zio avvocato a Roma difende gratuitamente fino in Cassazione giovanissimi comunisti di Eboli e dell’Alto Sele inseguiti dai fascisti, un fratello, Peppino, primo collaboratore di Giorgio Amendola nel governo di Salerno segnerà la vita del Pci napoletano e meridionale. Ma Vignola incontra sulla sua strada, Pietro Nenni, già ministro del Governo Parri. Lo incontra nella Eboli distrutta insieme ai suoi compagni di una giovanissima sinistra ebolitana. Cerca quel socialista eroe della Resistenza, fino ad andare a prenderlo a Roma con un’auto di fortuna come ricorderà, in un bellissimo e commovente racconto Fulvio Scocozza che sarebbe diventato poi sindaco di Eboli negli anni Settanta. Il leader socialista nella città distrutta tiene un comizio affollatissimo su un palco di legno costruito sotto il campanile di Santa Maria della Pietà, in piazza. Intorno a Nenni, non solo Mario Vignola, ma anche giovanissimi come Gaetano Petraglia, Gerardo Vignola, Mario Curcio, Lello Vecchio, Raffaele Romano Cesareo e poi popolo, tanto popolo della città che sta ricostruendo i partiti politici fino a farla diventare una città del sud dove per generazioni l’atto di nascita ha spesso coinciso con la prima tessera politica. Con Mario Vignola, che è stato anche sindaco e vice sindaco di Eboli, a novant’anni, muore anche l’ultimo rappresentante della «seconda generazione» dei socialisti che radicò a Salerno il Psi negli anni Cinquanta e tenne la ribalta per circa un trentennio, fino alla stagione craxiana.
Mario Vignola non fu uomo del potere socialista, un pò per formazione ed un pò per quell’apparente indolenza personale che era, invece, rispetto massimo per le opinioni di tutti. Non sarà mai craxiano, ma profondamente legato a Francesco De Martino (è nella storia il convegno del 22 febbraio 1978 al parco delle Querce di Contursi Terme, cinquecento socialisti contro il gruppo Craxi-Signorile). Non fu più candidato al Senato nel 1983. Alla guida del Psi salernitano, era già quel Carmelo Conte, anche lui nato politicamente ad Eboli, entrato nel Psi dalla porta secondaria di una lista civica comunale (1970) fino a diventare poi ministro della Repubblica e riconosciuto leader del Psi meridionale.
Anche quando divenne sottosegretario alle Poste, e siamo nel quarto e quinto Governo Rumor - dal luglio 1973 al novembre 1974 - non utilizzò la facile scorciatoia dell’accanimento clientelare. Di quella esperienza conservava un biglietto di ringraziamento, che esibiva con misurata civetteria, firmato da Nenni. Lo ringraziava dell’interessamento che aveva svolto per la celere installazione del telefono a casa del suo autista. Ben poca cosa rispetto all’impegno parlamentare che lui sviluppò in Senato in anni difficili della Repubblica fino ad assumere anche le funzioni di segretario d’aula di Palazzo Madama con un presidente molto esigente e rigoroso come Amintore Fanfani (resta nella storia del costume parlamentare il rimprovero di Fanfani a Vignola occasionalmente in aula senza cravatta, perchè partito di notte dal luogo di villeggiatura). Fu relatore, tra l’altro, della legge di riforma dell’intervento straordinario, e impegnato a «difendere» il suo collegio elettorale: sia quando si trattò di Battipaglia nei giorni della rivolta del ‘69, sia quando con la delegazione ebolitana (Mazzella, Sparano, Manzione) andò a Palazzo Chigi a motivare le barricate di Eboli (maggio ‘74), cinque giorni con l’Italia in due dopo il «trasferimento» della Fiat da Eboli in Irpinia. Rumor, che era anche il «suo» presidente del Consiglio minacciò di mandare l’Esercito a Eboli per sbloccare ferrovia ed autostrada. Vignola con gli ebolitani reagì pesantemente. Di quello scontro violento resta solo un pudico sostantivo nel verbale della riunione: «Tensione». Per Mario Vignola arrivava prima Eboli, il paese da dove decise di non partire mai.
 
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