L'orafa Sara Greco, sogni e talento dal Mezzogiorno a New York

L'orafa Sara Greco, sogni e talento dal Mezzogiorno a New York
di Luca Marfé
Martedì 26 Settembre 2017, 11:52
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Sara questa città l’ha conquistata già. Si presenta al nostro appuntamento un po’ di corsa e con i capelli sparpagliati nel vento. È una giovane orafa salentina, ha doti straordinarie e una voglia di farcela che manifesta ad ogni parola, ad ogni sorriso. Talento, tecnica ed energia disegnano gioielli e un orizzonte infarcito di entusiasmo. Un posto nel quale non conta più neanche il successo, ma vale solo il luccichio dei sogni. I suoi desideri sono nati 34 anni fa in un paesino di ottocento anime nei dintorni di Lecce e, sin da bambina, aveva le idee molto chiare.

«Mia madre lavora la terra cotta e dipinge, mio padre fa soprattutto sculture, ma non c’è nessun orafo nella mia famiglia», racconta. «A me, però, per qualche strano motivo piaceva il metallo e così, che tu ci creda o no, a 12 anni chiesi a mamma un piccolo saldatore». Ed è proprio con il metallo che ha iniziato a dare forma alle sue mille idee. Mentre frequentava l’istituto d’arte, girava per i laboratori artigianali della provincia con un chiodo fisso nella testa: imparare. Subito dopo la maturità, la specializzazione a Vicenza come cerista; è lì che ha studiato anche design, taglio e analisi delle pietre preziose.



«Quando conobbi Giuliano Parisi, il mio maestro di cera, rimasi rapita delle sue tecniche particolari ed incominciai a ossessionarlo: volevo imparare per forza da lui». È una maschera di determinazione: «All’inizio quasi non mi voleva tra i piedi. Tra simpatia e caparbietà, però, sono riuscita a fare in modo che mi spalancasse le porte del suo mondo, che mi svelasse alcuni dei suoi segreti».

Sara arriva poi a Caserta per studiare al Tarì Design School, il più grande centro orafo del meridione per incisione e incastonatura. In séguito, nel 2012, apre la sua azienda ‘Sara Greco Gioielli’ e lancia le prime collezioni: Argentovivo e Improntae. In fondo potrebbe andar bene così. E invece no, questa ragazza del Sud non è nata per accontentarsi e ha deciso di vivere più forte, di sognare un po’ più in là. Fino a New York, fino al distretto dei diamanti più famoso del mondo.

«Sono arrivata la prima volta per curiosità, per una somma di stimoli, per imparare la lingua e perché, se proprio devo dirla tutta, davvero non riesco a stare ferma» dice ed esplode in una risata bella e sincera. «Non ero di certo qui per trasferirmi, non conoscevo nessuno, volevo visitare i laboratori e così ho cominciato a girare per il Diamond District». Tornata a casa, però, il pallino della Grande Mela continuava a rimbalzarle nella testa. 

«Un giorno mi è capitato di leggere un annuncio: cercavano una persona di esperienza, versatile, che si intendesse di tutte le fasi della lavorazione orafa, ma che fosse capace di svolgere anche un ruolo manageriale. Era l’occasione che il mio curriculum stava aspettando, me lo sentivo». La risposta non si è fatta attendere e, in una manciata di giorni, Sara si è ritrovata per la seconda volta catapultata nel cuore di Manhattan.



«Quando hanno visto le mie creazioni, ne sono rimasti colpiti perché la tradizione italiana educa alla fantasia, alla libertà, ed è senz’altro meno prigioniera di schemi classici, e in qualche modo rigidi, tipici invece di queste latitudini».

Una breve prova e, in un attimo, la proposta vera e propria. Quella in grado di cambiare una vita intera.

«Sono tornata in Italia, ci ho riflettuto un po’, ma alla fine mi sono detta un ‘sì’ grande così» e spalanca le braccia in un gesto ampio quasi quanto la sua felicità. Un paio di mesi, pronti tutti i documenti e via, Sara è sbarcata di nuovo nella Grande Mela, questa volta con una posizione denominata tecnicamente O1, extraordinary abilities. Il visto più difficile da ottenere negli States, riservato proprio agli artisti cui vengono riconosciute abilità straordinarie. E lei ne ha di certo.

Da allora lavora con oro, platino e diamanti per la P Cat Custom che ha sede proprio nello scintillante Diamond District, nel bel mezzo del triangolo magico tra la leggendaria Fifth Avenue, Time Square e il Rockefeller Center. Un’azienda che ha realizzato, anche per mano della stessa Sara, meraviglie firmate Eva Fehren che si sono guadagnate copertine e pagine di Vogue, New York Times e The Oprah Magazine ad impreziosire i volti della stessa Oprah, ma anche di stelle del parterre internazionale come Rihanna, Emma Watson e Gwyneth Paltrow. O che, un passo ancora più in là, sono state sposate dal Metropolitan Museum per il negozio ufficiale del tempio dell’arte newyorkese.

«Qui si lavora ad un livello più alto ed è molto stimolante. Cambiano le attrezzature, cambiano i modi. Tutto passa attraverso la lente di un microscopio, il perfezionismo regna sovrano. Bisogna essere pronti a migliorarsi, non ci si può distrarre mai. Mi piace pensare di poter combinare tutto questo con l’estro tipico delle scuole in cui sono cresciuta».

Le brillano gli occhi, in un lampo a metà tra l’emozione e un pizzico paura. Che forse, in fondo, sono di fatto la stessa cosa.

«Il salto, certo, è stato scioccante. Non si ammettono errori, non c’è spazio né tempo per essere stanchi. Tutto deve andare per il verso giusto perché perdere tempo significa perdere soldi».
Continua e sposta il discorso sulle sue emozioni: «Qui mi sento libera. Libera di fare qualsiasi cosa, di migliorarmi, di fondere tecnica e creatività».

Per quanto sia impegnata, non molla i suoi progetti personali e anzi tira dritto e addirittura rilancia con una nuova linea. Dopo l’ultima collezione ‘Terra degli Ulivi’, è in arrivo quella nuova, ‘Terra Madre’ che comprende due ciondoli e un orecchino.

«Alla base c’è la natura, ci sono origini e radici. Ho lavorato con dei cristalli meravigliosi, ho pensato di costruirci attorno qualcosa di armonioso. Li guardo e credo di esserci riuscita».




La linea dell’orizzonte del suo futuro è radiosa. Del resto, perché mai non dovrebbe essere così? Peraltro qui, nella città dei sogni che diventano opportunità vere e concrete.

«Il mio fine è sempre quello di perfezionarmi. Seguirò tutto ciò che riesca a stimolarmi e, se dovesse essere qui a New York, che ben venga. Se invece fosse in Italia, meglio ancora. E, ti dirò, se sarà da un’altra parte, andrà benissimo lo stesso. La mia “casa” è ovunque. Ovunque possa esserci uno spazio, una prospettiva vasta e gratificante per immaginare ancora, per continuare a creare». 

Una giovane donna e la sua valigia piena di ambizioni genuine, di sogni “preziosi”.



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(Fotografie: Dario Patrocinio)
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