Il Mattino, cavalcata nel secolo breve
in due speciali grandi firme

Il Mattino, cavalcata nel secolo breve in due speciali grandi firme
di Titta Fiore
Martedì 14 Marzo 2017, 08:58 - Ultimo agg. 18 Marzo, 11:24
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Quando uscì, il 16 marzo del 1892, «Il Mattino» di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao si mostrò subito rivoluzionario. I due, coppia formidabile di giornalismo e d’impresa, l’avevano voluto nuovo come un bambino che nasce, moderno come l’idea di progresso. Scarfoglio lo scrisse senza mezzi termini nell’editoriale del primo numero: il giornale sarebbe stato una voce che «da Napoli si spandesse per tutta l’Italia» e «un campione dei diritti meridionali davanti al resto della patria». Centoventicinque anni dopo, percorriamo ancora, orgogliosamente, la stessa strada.

«Il Mattino» nacque in fretta e furia, in soli quaranta giorni, dopo la rottura dei due sposi-manager con il banchiere e finanziatore Matteo Schilizzi. Ma nacque bene, veloce, dinamico, tecnologico, fiero dell’avveniristica rotativa Marinoni che ansimava nei sotterranei della redazione all’Angiporto Galleria. Scarfoglio e Serao, coppia di vita e di lavoro uniti in un unico, saldissimo legame, avevano messo in piedi un prodotto invidiabile per fattura e intelligenza dei tempi. L’idea di riprodurre alcune pagine storiche mettendole a confronto con articoli delle grandi firme del «Mattino» di oggi nei due inserti speciali allegati gratuitamente ai numeri di domani, mercoledì 15, e dopodomani, giovedì 16, nasce da qui: dal desiderio di mostrare quanta sapienza professionale ci fosse in quelle colonne di piombo e come quel talento e quella passione per la notizia fossero entrati a far parte del Dna del quotidiano degli anni a venire. 

È evidente che l’asciuttezza dello stile, l’eleganza del tratto grafico, la veemenza delle battaglie del «Mattino» di Scarfoglio e Serao rispecchino non solo la vivacità del milieu che esprimeva il giornale, nelle sue luci e nelle sue infinite contraddizioni, ma anche e soprattutto la personalità di chi lo aveva fondato. Lui battagliero polemista, pronto a incrociare la penna con gli avversari, compiaciuto della propria leggenda di «mangiatore di uomini»; lei indomita tessitrice di orditi culturali e di costume, ma anche scrittrice e romanziera di successo, molto più di un’operosa co-fondatrice, di una preziosa collaboratrice in ogni fase della vita del quotidiano. Donna Matilde narrava virtù e vizi della declinante Belle Epoque tenendo però gli occhi e il cuore ad altri temi e ad altri ambienti, ben più forti e aspri: il racconto del ventre di Napoli con i suoi bassi dove non entra mai il sole, lo scontro istituzionale con il primo ministro Depretis all’indomani del devastante colera e, più tardi, con lo stesso Mussolini. Nei «Mosconi» diede spazio alle donne con una formula «omnibus» che poi, molto tempo dopo, avrebbe dilagato nei settimanali femminili. «Il mio programma è piacervi sempre» scriveva nel primo numero del 16 marzo ‘92 alle lettrici che numerose le si rivolgevano con telegrammi, lettere, biglietti. Ai lettori assetati di particolari sul processo del secolo, il processo Cuocolo, Scarfoglio faceva proiettare su un lenzuolo sciorinato in Galleria le immagini delle udienze appena concluse e poi raccoglieva gli umori dei passanti. La coppia regina dell’informazione sperimentava linguaggi, azzardava senza sosta formule e prototipi. Scommetteva su un modello di giornale che fosse «il più serio e il meno pesante». Scommetteva e vinceva: dalle inziali tredicimila le copie arrivarono in meno di un decennio a trentatremila, per quei tempi un vero e proprio boom. 

Non fu il solo primato di un’avventura professionale senza precedenti. Su per le scale strette della redazione all’Angiporto Galleria, lo slargo che oggi porta il nome della Serao, dietro la porta a vetri liberty con il gallo simbolo della testata, salivano i maggiori intellettuali dell’epoca. Sulle colonne del «giornale meglio scritto d’Italia», la definizione è di Carducci, si avvicendavano le firme più illustri: Gabriele D’Annunzio e Francesco Saverio Nitti, Roberto Bracco e Ferdinando Russo. Sulle pagine del giornale di don Edoardo e donna Matilde trovarono posto i romanzi a puntate dei più grandi scrittori europei, a partire da «Bel Ami» di Maupassant e «I fratelli Karamazov» di Dostoevskij. E proprio a Carducci fu chiesto di comporre versi benauguranti, quando l’Italia scese in guerra, nel 1915. La vedrete, quella pagina, nel primo dei due inserti in regalo domani con «Il Mattino». 

Sempre sul doppio binario del confronto fra ieri e oggi abbiamo privilegiato le analisi storiche sulla marcia su Roma e sulle leggi razziali vergogna di Stato, il racconto del secondo conflitto mondiale e di Napoli insorta durante le Quattro Giornate, del processo Cuocolo con il primo pentito di camorra, dell’atomica su Hiroshima e della nascita della Repubblica. E poi, via via, ecco la rivoluzione del Concilio Vaticano II e l’attentato di Dallas a JFK, lo sbarco dell’uomo sulla Luna e l’apocalisse delle Torri Gemelle, o quel che ha significato per l’Europa la caduta del Muro di Berlino. Nella necessaria selezione Napoli e la Campania occupano larga parte dello spazio. Le cronache sulla psicosi del colera nel 1973 rilanciano la tossicità di certe campagne mediatiche dei nostri giorni; «Fate presto», urla il titolo della prima pagina sul terremoto dell’Irpinia e il sorriso di Giancarlo Siani, vittima innocente di camorra, è diventato simbolo di coraggio e della lotta al malaffare in una terra tormentata. Né potevano mancare, nella fin troppo rapida carrellata sul secolo breve, i grandi protagonisti della cultura e dell’arte che hanno attraversato la scena partenopea: per tutti Benedetto Croce ed Enrico Caruso, Eduardo e Pino Daniele. E il Napoli? C’è, naturalmente, con la geniale follia di Maradona e la gioia fanciullesca del primo scudetto. Era di maggio, giusto trent’anni fa.
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