L'albergo degli amori clandestini
tra sesso a pagamento e riscatto

L'albergo degli amori clandestini tra sesso a pagamento e riscatto
di ​Valerio Caprara
Giovedì 30 Giugno 2016, 09:07
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Un giorno e una notte con il trascorrere del tempo periodicamente segnalato in sovrimpression - in uno degli hotel a ore insediati nel quartiere a luci rosse Kabukicho. «Tokyo love hotel», presentato l'anno scorso al Far East Film Festival di Udine, costituisce un altro scoop del catalogo orientale della benemerita Tucker Film ed evidenzia doti non comuni del regista nipponico Ryuichi Hiroki, titolare di una carriera sui generis perché in parte dedicata al genere softcore ovviamente considerato anche da quelle parti indegno d'attenzioni critiche.

Un dato che fa subito simpatia (in Italia l'alternanza non sarebbe mai possibile) e aiuta lo spettatore a compenetrarsi meglio nei toni concentrici con cui il film modella cinque storie su cinque coppie di frequentatori occasionali o fissi dell'esercizio: al posto di un facile sguardo sociologico - dalle nostre parti quasi sempre accompagnato dalle note esorcistiche del moralismo spicciolo - si fa strada, infatti, il senso di una limpida, stupefatta curiosità nei confronti di un bestiario umano che mette via via in passerella amanti clandestini, immigrati coreani, troupe di film porno, poliziotti in imbarazzo, cameriere sotto falsa identità, velleitari clienti romantici o artisti in attesa di consacrazione che si procacciano provvisoriamente il pane quotidiano.

Sullo sfondo, grazie al pudore narrativo favorito da ritmo, dialoghi e montaggio non proprio rigogliosi e non sempre pimpanti, si può intravedere il rapporto per noi alquanto sorprendente e ondivago esistente tra la cultura e la società giapponese contemporanea e la vasta gamma dei fenomeni legati alle dinamiche dell'amore e all'urgenza del sesso. Il personaggio guida è non a caso Toru, passato da direttore di hotel a cinque stelle a manager-mezzano dell'equivoco Atlas: nel giro di poche ore, sballottato e stralunato da una serie d'incontri oscillanti tra mercimonio e speranza di riscatto nonché incalzato nel privato da una compagna carrierista (efficacemente interpretata dall'ex idolo pop Maeda), vedrà sfumare anche le sue residue e malferme certezze.

Il bello è che non c'è traccia di demonizzazioni o pentimenti, sensi di colpa o epifanie perbeniste, e i vari tasselli del puzzle non si negano né le parentesi umoristiche né le laiche e pragmatiche accettazioni del destino: i confini tra lecito e illecito, in questa direzione concettuale oltre che stilistica, sono continuamente valicati a seconda della situazione del momento proprio perché tutti gli «utilizzatori» di sesso non reclamano complicità o propongono modelli, ma si limitano a mostrare impudicamente più ancora che i corpi nudi - quella perpetua & patetica ricerca della felicità che non è certo un'esclusiva dell'umanità di Kabukicho.
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