Almodovar: «Mi manca l'onnipotenza dei miei folli anni '80»

Almodovar: «Mi manca l'onnipotenza dei miei folli anni '80»
di L'inviato Titta Fiore
Mercoledì 18 Maggio 2016, 10:33 - Ultimo agg. 10:45
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Il tempo che passa è una dolce ossessione, le donne sono sempre una meravigliosa fonte di energia, per Pedro Almodovar, anche quando il destino sembra piegarle sotto il peso di un dolore insopportabile e i giorni diventano di colpo meno colorati. «Se non mi lasci ti do la mia vita», canta Chavela Vargas alla fine di «Julieta» e il senso del film è tutto lì, in quel legame misterioso e tanace che unisce una madre e una figlia. «Julieta» è il ventesimo film del regista spagnolo, un puro «distillato Almodovar» con amore, morte, mistero e tutto, ma più trattenuto nei sentimenti, meno fiammeggiante nello stile. A Cannes è stato accolto con applausi commossi, come non accadeva da tempo, e subito dato tra i favoriti alla Palma con «Toni Erdmann» di Maren Ade e «I, Daniel Blake» di Ken Loach. L'ipotesi galvanizza Pedro: «So che i grandi maestri come Spielberg e Woody Allen snobbano il concorso, rispetto la loro posizione ma non la condivido: per me la gara è ancora un momento elettrizzante».Ispirato a tre racconti di Alice Munro (pubblicati da Einaudi nel volume «In fuga»), il film affronta la felicità dell'amore e lo sperdimento del lutto, la faticosa ricostruzione di un'identità e il senso di colpa.

Julieta è una ragazza libera e sicura di sé negli avventurosi anni Ottanta, oggi una donna ferita dalla morte del marito e dalla misteriosa sparizione della figlia. «Ho messo la figura della madre al centro di molti film e mi sono sempre sentito rappresentato da quelle signore forti, vitali, generose. Julieta, invece, è diversa da tutte le altre: vulnerabile e incapace di lottare, trascina la vita in un'attesa disperata, affidando alla scrittura la sua unica forma di resistenza». Nessun rimando autobiografico, ma è evidente che la sottile malinconia che vela lo sguardo della sua protagonista sia in qualche modo familiare al nuovo Almodovar: «Il tempo passa e non si può far finta di niente, non mi sento ancora vecchio ma come dar torto a Philip Roth quando dice che l'età avanzata non è una malattia, è un massacro... Ho vissuto una giovinezza meravigliosa e oggi mi manca quel senso di incosciente onnipotenza, mi manca l'euforia degli anni Ottanta, quando tutto sembrava possibile».A 66 anni e con una salute capricciosa che lo ha portato già due volte in sala operatoria, il regista premio Oscar, il folle cineasta di «Donne sull'orlo di una crisi di nervi» si sente più fragile e più triste. In una parola, più saggio. 
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