«Le confessioni» di Andò: «Il mio giallo dell'anima con Servillo»

«Le confessioni» di Andò: «Il mio giallo dell'anima con Servillo»
di Davide Cerbone
Mercoledì 20 Aprile 2016, 09:19 - Ultimo agg. 16:56
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 Gli anni giovanili a bottega dai grandi: da Leonardo Sciascia a Francesco Rosi, passando per Federico Fellini e Francis Ford Coppola. E l'altra metà della vita passata a inventare storie. In mezzo, cinque anni - dal 1995 al 2000 - da direttore del Festival sul Novecento nella sua Palermo. Ma Roberto Andò, raffinato autore, scrittore e regista, si sente prima di tutto un artigiano di classe. E con le parole al posto dello scalpello, continua a plasmare vicende e personaggi. Racconti, però, sempre confinanti con la realtà, per un cinema che un tempo si definiva «civile». Una vocazione sottolineata anche nel nuovo film, «Le confessioni», interpretato da Toni Servillo, che il regista ha raccontato in un incontro nello studio web tv del «Mattino».

Il suo nuovo film, che domani sarà nelle sale, vanta un cast stellare: da Toni Servillo a Daniel Auteuil a Pierfrancesco Favino e Lambert Wilson...

«Vero, il cast è internazionale e di grande qualità. Ci sono anche altri ottimi attori, come il tedesco Moritz Bleibtreu, la danese Connie Nielsen, il belga Johan Heldenbergh».

«Le confessioni» è un film corale, raffinato, un giallo ambientato nel mondo dell'alta finanza e del potere economico.

«Sì, la storia si svolge in un grande albergo dove si sta svolgendo un G8 - e dove quando Prodi era premier un G8 si tenne realmente -, uno di quei luoghi nel quale gli uomini di potere si isolano. Al summit sono stati invitati anche alcuni personaggi della società civile, e uno di questi conduce la propria rivoluzione silenziosa».

Ancora una volta il punto di partenza è la realtà.

«Mi piace pensare che il cinema possa far riflettere la gente sui grandi temi. Dopo Viva la libertà, che raccontava la fuga dalla politica, con Toni abbiamo voluto immaginare un gruppo di ministri dell'Economia chiamati a decidere le sorti del mondo. A volte in questi casi vengono coinvolti personaggi dello spettacolo e della cultura, a fare da testimonial delle istanze civili: mi sono affidato a questo pretesto narrativo realistico. Ho immaginato che i ministri si trovassero davanti a qualcosa in grado di spiazzarli: nella fattispecie, un monaco, interpretato da Servillo, che nel corso delle sue confessioni (da qui il titolo del film, ndr) insinua in alcuni di loro il dubbio, al punto da trasformare il peso di quella decisione in un tormento».

Qual è il messaggio, alla fine?

«Per esempio, riflettere sull'illusionismo dell'economia. Gli economisti lavorano sul futuro, per loro il presente non esiste. E questo film lavora sul dualismo anima-denaro, i due poli del bene e del male».

Servillo come si è calato dentro questo ruolo?

«Con lui ho un rapporto speciale, siamo amici di lunga data. Ha seguito tutta la costruzione del film in modo scrupoloso e si è preparato leggendo molti scritti di persone che hanno fatto la scelta del monachesimo venendo da una vita mondana. Il suo personaggio, che ho voluto poco definito nella biografia, prima faceva il matematico. È un uomo, non un santo. Ma gioca le sue carte e, nelle vesti di disturbatore, vince questa manche».

Dunque, alla fine le «confessioni» colgono nel segno.

«Sì, mi piaceva dare un'ipotesi per il bene. Spesso siamo affascinati dalle tenebre, io volevo dare un'idea di speranza. Per fortuna ogni tanto anche nella realtà ci sono dei ravvedimenti. Penso al cambio di rotta della Merkel sui migranti, di fronte al quale mi inchino».

Possiamo dire che l'economia è la religione dei nostri tempi?

«Certo. L'economia è un gioco di prestigio che incide sulle vite di interi Paesi. Non a caso gli operatori dell'alta finanza si fanno chiamare maghi. Il film non entra in certi meandri, ma si sviluppa intorno all'enigma di un potere che usa le parole non per rivelare ma per nascondere».

Tuttavia «Le confessioni» non è un film filosofico.

«No, è un giallo con un uomo che mette spalle al muro un gruppo di potenti, fino ad una rivelazione finale. Pasolini nel suo libro postumo, Petrolio, scrive che il romanzo nel nostro tempo deve avere carattere un po' pazzerello. Io sono d'accordo»

Lei ha diretto a Palermo un festival importante ed è stato protagonista della prima edizione del Napoli Teatro Festival con un testo di Anna Maria Ortese. Che ricordo ne ha?

«Un ricordo bellissimo. Ebbi la sensazione di una città che si prestava al festival. Tomasi di Lampedusa disse: Se Dio vuole fottere qualcuno, lo fa nascere a Palermo. Ecco, io volevo che un giovane nato a Palermo non si sentisse fottuto. Volevo che il mio festival costruisse una rete. Anche a Napoli ho avuto la sensazione che questo potesse accadere».

In questi giorni a Napoli si è discusso dell'opportunità di invitare un grande divo come Al Pacino.

«Sarebbe stato bello vederlo in uno dei suoi Shakespeare, ma le star in certi contesti devono accontentarsi di una paga diversa».