Enzo D'Alò: «La favola della bambina e dell'ultimo cantastorie»

Enzo D'Alò racconta il suo prossimo film

Enzo D'Alò
Enzo D'Alò
di Titta Fiore
Giovedì 21 Marzo 2024, 09:31
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Dopo lo struggente «Mary e lo spirito di mezzanotte», il film d'animazione che esalta l'identità femminile e la solidarietà tra le generazioni, Enzo D'Alò è già al lavoro su un nuovo, importante progetto: «Voglio esplorare gli aspetti più magici ed esoterici della cultura africana» dice il maestro napoletano di «La freccia azzurra» e «La gabbianella e il gatto» a Cortinametraggio, il festival del cinema breve presieduto da Maddalena Mayneri, con la direzione artistica di Niccolò Gentili, diventato nel corso degli anni un importante punto di riferimento del settore.

Nella diciannovesima edizione, appena conclusa, si sono sfidati venti corti di grande qualità, di cui sei in prima mondiale. Commedia, horror, drammi generazionali i temi più frequentati, grande attenzione all'ambiente e alle storie familiari. Ha vinto «Tilipirche» di Francesco Piras, che racconta una violenta invasione di cavallette in un paesino della Sardegna con un sottotesto ambientalista, ma anche «Un lavoretto facile facile» di Giovanni Boscolo, «L'acquario» di Gianluca Zonta, «De l'amour perdu» di Lorenzo Quagliozzi, prodotto da Paolo Sorrentino, hanno ricevuto importanti riconoscimenti.

La giuria dei corti americani, che comprendeva anche D'Alò, ha premiato «Thirstygirl», originale storia di due sorelle e di un viaggio che cambierà per sempre le loro vite. «Ero già stato a Cortinametraggio nel 2018 e nel tempo il festival è molto cresciuto» racconta il regista. «Ormai il corto non può più essere considerato solo una palestra per giovani autori, è un genere autonomo che consente di sperimentare orizzonti linguistici diversi con grande libertà».

Quali storie l'hanno colpita particolarmente?
«Nel campo dell'animazione trovo che il salernitano Loris G. Mese con "Z.O" abbia fatto un lavoro interessante partendo dalle immagini girate dal vivo e poi rielaborate, usando il montaggio in modo originale. Mi sono piaciuti anche "We Should All be Futurists", per come ha elaborato il linguaggio del futurismo, e "Un lavoretto facile facile", ironico e mai convenzionale. L'ironia è fondamentale, i giovani a volte si prendono troppo sul serio».

Lavora con molti giovani?
«Molti, sì, in un nostro film sono impegnati almeno una cinquantina di animatori, mentre tutta l'equipe dell'animazione conta su centocinquanta persone. I giovani vanno formati di volta in volta e gli affermati aiutano quelli alle prime armi, creando un circolo virtuoso. Mi dispiace vederli partire a fine film, vorrei che le esperienze professionali non si interrompessero e non si disperdesse il patrimonio di conoscenze. Anche per questo guardo con molto interesse ai progetti di formazione sul territorio».

A che punto è il suo nuovo film?
«Stiamo lavorando sulla parte artistica e finanziaria. Sarà una storia africana, tratta dal libro "Il principe della Città di sabbia" che ho scritto a sei mani con Pierdomenico Baccalario e Gaston Kaboré, bravissimo autore del Burkina Faso».

Di cosa parla?
«Sono partito dalla lettura del saggio Il ramo d'oro di Frazer, là dove si dice che gli anziani della tribù dormono con un fazzoletto in bocca per impedire all'anima di scappare via. Nel film, che per ora s'intitola "Rokia nel deserto", una bambina si avventura nel deserto per ritrovare l'anima del nonno Matuké, l'ultimo cantastorie del popolo dei Dogon. Ma deve combattere con il principe della Città di sabbia che si nutre dell'anima dei griot».

Una favola sui toni del realismo magico.
«Una storia sui Dogon, una popolazione che vive ai confini del deserto e ha una cosmogonia esoterica. Ho voluto esplorare la cultura del Corno d'Africa, ci sono stato già tre volte, sto tentando di coinvolgere degli studi africani, ma servono fondi per sviluppare il lavoro in loco. L'idea è di partire a fine anno e portare a termine il progetto nel 2026. La normativa vigente impone di fare un film in 24 mesi. Per l'animazione sono tempi molto stretti, bisognerebbe avere azioni con regole diverse».

Garrone ha fatto recitare gli attori senegalesi di «Io capitano» in Wolof, quale lingua si parlerà nel suo film?
«Mi piacerebbe un grammelot africano, da doppiare poi in italiano. La lingua originale detta lo stile di un film e il modo di disegnare degli animatori».

In «Mary e lo spirito di mezzanotte» ha dato voce a quattro generazioni di donne confrontandosi con grande delicatezza con temi universali come il valore della memoria e l'elaborazione del dolore.
«Il film ha avuto un bel riscontro di pubblico, la gente lo ama e si emoziona, vorremmo che restasse nelle sale il più possibile prima di cominciare il suo percorso con le scuole. Purtroppo in Italia l'animazione non è ancora tenuta nella debita considerazione. Il mio film non è nemmeno nella selezione dei David giovani, mentre altrove, come nei César francesi, l'animazione ha una sua categoria e l'attenzione che merita».
 

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