«Fuocoammare» candidato all'Oscar
il rimpianto di un'occasione mancata

«Fuocoammare» candidato all'Oscar il rimpianto di un'occasione mancata
di ​Titta Fiore
Martedì 27 Settembre 2016, 22:12 - Ultimo agg. 22:24
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Un Orso d’oro a garanzia e l’endorsement di Meryl Streep come viatico. Accanto alle indubbie qualità cinematografiche di «Fuocoammare», candidato dalla commissione di esperti dell’Anica a rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar per il miglior film straniero, devono aver avuto il loro peso anche questi due fattori per così dire «ambientali». Intendiamoci: il documentario di Gianfranco Rosi sull’emergenza migranti a Lampedusa è un magnifico esempio di cinema del reale, capace di incidere nella carne viva del massimo problema dei nostri tempi, di raccontare la disperazione di chi parte e il coraggio di chi accoglie con codici d’artista. 

Liberi dai condizionamenti della retorica e dai luoghi comuni della politica. E l’entusiasmo della presidente di giuria Meryl Streep nell’assegnargli il premio più importante del Festival di Berlino è senz’altro un autorevole biglietto da visita. «Spero che vinca l’Oscar» aveva detto la diva che nel campo detiene il record di candidature, diciannove, e nel leggendario curriculum tre statuette vinte. Il suo incoraggiamento, nell’ambiente, vale dunque più di un semplice augurio.

Dalla sua, «Fuocoammare» ha anche la dichiarata sensibilità dei giurati dell’Academy verso i temi dell’impegno civile e infatti non sono pochi i titoli che, negli anni, hanno vinto raccontando la tragedia dell’Olocausto - «La vita è bella» di Benigni fra questi - le devastazioni delle guerre, il dolore provocato dalle dittature. Ma erano film cosiddetti di finzione, cattedrali drammaturgiche ispirate alla realtà, non letture autorali della realtà stessa quali si prefiggono di essere i documentari. In un premio così saldamente strutturato, così «pesante» per l’industria cinematografica mondiale, il distinguo di genere che negli altri festival sta perdendo progressivamente di valore (proprio Rosi ha vinto anche il Leone d’oro a Venezia con «Sacro G.R.A») rischia di penalizzare la corsa italiana all’Oscar. Va letta in questo senso la posizione polemica di Paolo Sorrentino, l’ultimo italiano ad aver vinto la statuetta, tre anni fa con «La grande bellezza, e ora nella commissione selezionatrice: «È un film bellissimo, ma andava candidato nella categoria documentari» ha detto il regista non senza ragione, forte della propria esperienza. La scelta dell’Anica, invece, «depotenzia masochisticamente» il nostro cinema perché gli impedisce di concorrere in due categorie: cinema del reale e film straniero, dove «Indivisibili» di Edoardo De Angelis, a parere di Sorrentino e non solo suo, avrebbe avuto non poche carte da giocare.

La sfida è finita cinque a quattro e va bene così. A nulla serve recriminare. Ora bisogna incrociare le dita e sperare che «Fuocoammare» (iscritto peraltro anche nella categoria documentari) finisca nella cinquina finale, che la storia di Bartolo, Samuele e Peppino colpisca al cuore i giurati dell’Academy, che la Rai coproduttrice con Donatella Palermo lo sostenga al meglio nel lancio e nella promozione americana, spietata come una campagna elettorale, che la commozione suscitata dal film al Parlamento Europeo si riverberi sui votanti di Los Angeles, a volte distratti, a volte ignari, a volte lontani. La candidatura di «Fuocoammare» è un’opzione stilistica coraggiosa e, allo stesso tempo, un grido, una richiesta di attenzione su quel che accade sulla prima frontiera del Mediterraneo, su un dramma che scuote e preoccupa il mondo. Non a caso, nella felicità del momento Rosi cita Obama e la sua dichiarazione contro i «costruttori di muri» che finiscono per imprigionare la propria anima. Non a caso le reazioni più entusiastiche sono arrivate, ieri, dalle istituzioni più che dagli organismi di categoria. 

Per «Indivisibili» resta il rimpianto di una bella occasione mancata. Il film, ambientato da De Angelis nelle terre violentate del Casertano, racconta attraverso la storia di due gemelle siamesi il dolore della crescita e lo strazio della separazione. A pensarci bene, solo gli stessi temi di «Fuocoammare».
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