Gaffe da Oscar:
inchiesta sulle buste

Gaffe da Oscar: inchiesta sulle buste
di ​Titta Fiore
Martedì 28 Febbraio 2017, 11:49 - Ultimo agg. 19:43
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Inviato a Los Angeles

Una gaffe clamorosa, un errore impensabile. Però che colpo di teatro. Com’è andata l’hanno visto in diretta milioni di spettatori: Warren Beatty e Faye Dunaway annunciano, con qualche perplessità, «La La Land» miglior film, partono i ringraziamenti di gruppo, il produttore si commuove fino alle lacrime pensando di aver finalmente risolto i problemi di mutuo. Poi la doccia gelata.

Contrordine, c’è stato uno scambio di buste. Ha vinto «Moonlight». Fuori la storia canterina di passioni e american dream, dentro la storia black di povertà, droga e amori gay. Sul palco scoppia il caos. Warren Beatty prova a spiegare alzando il ditino come a chiedere permesso, ma viene graziosamente spintonato in un angolo. Vincitori e vinti si guardano in cagnesco e ciascuno ringhia all’altro: «Non è uno scherzo». Qualcuno prova a tirare in ballo i soliti hacker russi, ma non funziona, questa volta non funziona.

Qualcuno ha sbagliato. La perfetta macchina organizzativa dell’Academy si è inceppata in mondovisione. Com’è potuto accadere? Errore o sabotaggio? Chi ha infilato una zeppa nell’ingranaggio rodato da 89 edizioni e messo a punto in ogni più piccolo particolare, chi ha alterato la progessione delle buste? Il regista di «Moonlight» Barry Jenkins ha l’aria di saperla lunga e commenta: «Notando quell’agitazione sul palco ho pensato che stesse succedendo qualcosa di strano e ho chiesto di vedere il biglietto. Non mi è stato mostrato subito, ma quando l’hanno fatto ho letto “Moonlight” e sono intervenuto». Jenkins si butta nella mischia con vigore, mentre Beatty conquista a fatica un microfono: «Ho aperto la busta e c’era scritto Emma Stone, “La La Land”» dice il divo con un sorriso imbarazzato da vecchio seduttore, «per questo ho guardato a lungo Faye Dunaway...». La sventurata risponde all’appello muto e proclama il vincitore. Il film che pensava fosse il vincitore. 

La frittata è fatta. PricewaterhouseCoopers, la società che si occupa del conteggio dei voti, apre subito un’inchiesta, vuole vederci chiaro e lavare la macchia oltraggiosa. Bisogna rifarsi al più presto una verginità e riconquistare l’autorevolezza perduta per non perdere commesse a molti zeri, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences non può rimetterci la faccia per un banale incidente. Quanto banale, per la verità, lo stabiliranno gli ispettori. Per ora si seguono tutte le piste. E dire che la segretezza del voto e l’efficienza dei funzionari PwC’s sono proverbiali. Tasselli non trascurabili dell’unicità degli Oscar. Già, perché l’Academy mena vanto di custodire i propri dati meglio del Pentagono e per farlo diffida comprensibilmente dei computer. Snowden nel campo ha fatto scuola. «Quando si tratta di votare» scrive «Bloomberg», «l’Academy fa le cose all’antica». Le schede compilate dai votanti, cartacee e online, vengono consegnate alla società che è specializzata in revisioni di bilanci, e da questa gestite in ogni fase del verdetto. Non sono mai più di sei le persone incaricate del conteggio e solo due hanno il quadro completo delle preferenze. I due, da tre anni a questa parte, rispondono a nomi di Martha Ruiz e Brian Cullinan, i più attenti osservatori di red carpet li avranno visti incedere impettiti in abito da sera, domenica, ciascuno con una valigetta nera incollata alla mano, prima dell’apertura dei giochi.

Presenze silenziose e preziose, Martha e Brian hanno il compito di contare i 6300 voti dei membri dell’Academy, sempre a mano e a porte chiuse, dal mercoledì al venerdì precedenti la cerimonia. Poi devono compilare i cartoncini con i nomi per i presentatori e memorizzare i vincitori in caso i biglietti andassero persi, bruciati, rubati o chissà quale altra diavoleria. Il giorno dello show arrivano al Dolby Theatre da strade diverse, scortati dagli agenti della polizia di Los Angeles: si capisce, nel loro campo sono un’autorità. Nelle fatidiche valigette custodiscono l’elenco dei premiati, nel caso dovesse capitare qualcosa all’uno, l’altra è pronta a presentarsi in tempo alla cerimonia garantendo lo svolgimento della serata. The show must go on. Non è chiaro se, oltre agli elenchi, Martha e Brian conservino duplicati anche dei cartoncini. In questo caso si spiegherebbe perché il biglietto con il nome di Emma Stone sia finito non solo alla legittima proprietaria - che giura di non averlo mollato un secondo - ma anche nelle mani dell’incolpevole Warren Beatty. Insomma, il giallo c’è tutto, ora non resta che sperare nel colpo di scena. Intanto, sapendo che non è bello ripresentarsi sul luogo del delitto, il simpatico conduttore Jimmy Kimmel si è già tirato fuori: «È colpa mia, sapevo che avrei rovinato tutto prima della fine, buonanotte a tutti, prometto di non tornare mai più». 
 
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