L'altra Napoli di «Ammore e malavita»: «Musical surreale contro il gomorrismo»

L'altra Napoli di «Ammore e malavita»: «Musical surreale contro il gomorrismo»
di Titta Fiore
Giovedì 7 Settembre 2017, 09:11 - Ultimo agg. 8 Settembre, 09:16
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Inviato a Venezia

I cuori battono all'impazzata e fischiano le pallottole in «Ammore e malavita»: passione, battute e tradimenti tra il mare di Posillipo e gli anfratti del porto su un tappeto di canzoni strepitose. Il musical-action-comedy di Marco e Antonio Manetti strappa applausi a scena aperta e, ridendo e scherzando, cantando e ballando, dice alcune cose di buon senso sulla narrazione della città. Irride allo stereotipo del gomorrismo, per esempio, e si prende il buono della vecchia tradizione popolare della sceneggiata, mescolandola al rap, al funky, al neomelò, scegliendo di andare sopra le righe perché le verità della commedia devono essere necessariamente esagerate. «La nostra Napoli non è quella cupa e disperata che si vede negli ultimi tempi al cinema e in tv» dicono i fratelli registi. «Napoli è la capitale della cultura italiana, una città al top nel teatro, nella musica, nel cinema e nelle arti. E da quel che s'è visto con la Gatta Cenerentola, oggi anche nell'animazione, capace di competere con i colossi americani senza avere gli stessi mezzi. Napoli, malgrado i suoi problemi, ha fermenti creativi e una carica di umanità straordinari. Ci fa sorridere l'idea che invece del magnifico golfo il suo simbolo siano diventate le Vele». E così loro, tra le Vele di Scampia, ci portano i bus degli incauti viaggiatori stranieri «all inclusive», per fargli vivere «l'esperienza turistica definitiva», più eccitante della visita alla Tour Eiffel a Parigi e al Colosseo a Roma. Trasformano un killer di camorra in un guerriero ninja esperto di arti marziali con scene che non dispiacerebbero a Johnny To, e la moglie del boss in una diabolica fan di James Bond. Passione, quest'ultima, che avrà sulla storia esiti fatali.



In «Ammore e malavita» si incrociano, infatti, i destini di due coppie: quella formata dal capoclan don Vincenzo, «'o re d''o pesce» (un magnifico Carlo Buccirosso) e donna Maria sua moglie (Claudia Gerini, veterana della commedia brillante e a suo agio con il napoletano) e l'altra che il caso rimette fortunosamente insieme: Ciro, il killer silenzioso addestrato ad ogni forma di combattimento (Giampaolo Morelli, l'attore feticcio dei Manetti), e Fatima, l'amore dell'adolescenza mai dimenticato (Serena Rossi, parrucca afro e voce potente). Una notte Fatima si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vede ciò che non deve. Ciro, una delle due «tigri» al servizio del boss - nei panni dell'altra c'è un fuoriclasse come Raiz, il leader degli Almamegretta - deve eliminarla. Ma quando i due si trovano faccia a faccia si riconoscono e si riscoprono. Niente e nessuno potrà fermare il loro amore. Ancora i Manetti: «Rispetto al nostro film precedente, Song'e Napule, qui ci sono molte più canzoni, in Ammore e malavita si canta prima di un bacio o dopo una sparatoria, il musical ci ha permesso di andare sopra le righe mantenendo una certa leggerezza anche su temi importanti». Stile «La La Land»? «Il nostro modello era Grease con qualche suggestione di Flashdance e, perché no, di Thriller». Com'è recitare e cantare allo stesso tempo, Morelli? «Durante le riprese la colonna sonora andava a palla e ci aiutava ad amplificare le emozioni, io mi sono sentito a metà strada tra John Travolta e Mario Merola». C'è un metodo, Buccirosso? «Basta recitare in maniera naturale, come sempre, e cantare come farebbe il personaggio». In una scena gorgheggia anche Pino Mauro assiso su un trono di enormi corni in piazza del Plebiscito: «È un maestro della sceneggiata e ci è stato di grande aiuto» raccontano i registi, «anzi, l'idea del film ci è venuta anche grazie a un suo celebre brano che ci fece ascoltare Franco Ricciardi, 'O motoscafo». Ricciardi, mattatore del genere neomelodico, interpreta il braccio destro del boss e farà una brutta fine, come la maggior parte del cast e come tutti quelli che proveranno a ostacolare i due innamorati fuggitivi.

Tra i balletti del coreografo di Madonna e Michael Jackson, Luca Tommassini, i brani di Pivio e De Scalzi scritti con Nelson, il film - che per certi versi richiama il prototipo di Roberta Torre, «Sud side story» - si chiude con un colpo di scena pirotecnico sullo sfondo dei grattacieli di New York, che saranno pure belli, «ma non so' Napule».

E pensare che tutto era nato dalla possibilità di girare il seguito di «Passione», il docufilm di Turturro sulla canzone partenopea. «Ce lo chiese il produttore Macchitella, ci pensammo un po', poi la cosa prese un'altra piega, secondo le nostre inclinazioni di registi di fiction». Avrebbero mai pensato di finire in concorso alla Mostra? «Macchè, io non ci volevo neppure venire», scherza Marco Manetti. «A Venezia avevamo già portato L'arrivo di Wang nella sezione Controcampo Italiano, ma gareggiare con Clooney e Aronofsky è un'altra cosa. In ogni caso, la nostra partita l'abbiamo fatta, ora la palla passa al pubblico». «Ammore e malavita» arriverà nelle sale il 5 ottobre distribuito da 01 in molte copie. Che cosa vi aspettate, Antonio e Marco? «Noi siamo prima di tutto spettatori appassionati e ci piacerebbe che il pubblico condividesse i nostri gusti. Abbiamo raccontato una storia d'amore senza aver paura dei sentimenti. Napoli ha bisogno solo di questo: che la si guardi con occhi positivi, come merita. Il resto sa farlo da sé».

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