Ozpetek: «La mia Napoli
​di oro e polvere»

Ozpetek: «La mia Napoli di oro e polvere»
di Titta Fiore
Sabato 24 Settembre 2016, 08:36 - Ultimo agg. 25 Settembre, 14:52
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Un regista italo-turco che vince il premio San Gennaro...
«Stupendo».
Ferzan Ozpetek sorride allegro. Ha avuto tanti riconoscimenti nella sua carriera internazionale, l'autore di «Mine vaganti» e «La finestra di fronte», ma questo dedicato al santo patrono di Napoli gli dà una particolare soddisfazione. Forse perché lo fa sentire più vicino a una città che lo seduce e ora si prepara a raccontare in un film, o forse perché qui ritrova profumi, atmosfere, incantesimi della sua Istanbul e, semplicemente, si sente a casa.
Dice: «Dei santi hanno bisogno tutti. Puoi essere non credente, ma ai santi ci credi».
Lei?
«Io pure. Non seguo alcuna religione, ma tengo nel portafogli le immaginette di Sant'Antonio e di Padre Pio, ora aggiungerò anche quella di San Gennaro».
In ogni caso, al di là della fede, crede nel miracolo quotidiano dell'arte.
«Certo, e quando sono arrivato in Italia, tanti anni fa, ho cominciato a visitare musei e chiese proprio per capire attraverso l'arte la cultura del Paese, la sua identità. Le immagini dei santi ritratte dai grandi maestri della pittura hanno fatto la loro parte. Oggi a Napoli mi colpisce il murales con il volto giovane di San Gennaro dipinto sulla facciata di un palazzo di via Duomo. Vivo tra i vivi, parte integrante della realtà. Bellissimo».
Diciamo che lo hanno messo a guardia di un quartiere difficile.
«Un segno ancora più forte. Il sacro si accende nella pratica quotidiana e a Napoli questo rapporto di osmosi si avverte ovunque. Il fascino della città nasce anche da qui».
Da stasera ne farà un po' parte anche lei.
«L'idea mi commuove e mi piace molto. Vorrei saper parlare il napoletano stretto come fa Carlo Cecchi, lo invidio per la sua capacità di usare una lingua meravigliosa. Io non riesco ma la capisco, e già mi sembra un miracolo».
La lingua aiuta a mantenere salda un'identità culturale.
«Verissimo, lo ha detto anche Sophia Loren in un'intervista a un giornale americano: io non sono italiana, sono napoletana. Una battuta che rispecchia un mondo».
Lei ha scoperto Napoli grazie a una «Traviata» di straordinario successo messa in scena al San Carlo e che in aprile riprenderà a furor di popolo per la terza volta. Che ricordi conserva, quali suggestioni?
«Mi colpisce la sensualità diffusa, l'empatia che si coglie tra la gente in ogni momento. Prima di arrivare molti amici, anche napoletani illustri, mi avevano messo in guardia: non andare in quel quartiere, stai attento alla stazione, guardati l'orologio... Io ho voluto vivere la mia esperienza e non ci ho proprio badato. Mi sono detto: voglio vedere che succede...».
E che cosa è successo?
«Ho incontrato solo persone meravigliose, ho scoperto luoghi incantevoli. Il napoletano per me ricomincia da tre, come diceva l'adorato Troisi, da tre punti in più degli altri. Essere napoletano è un valore aggiunto, per me. E mi dispiacciono i toni spregiativi che ogni tanto sento sulla città. Mi va il sangue al cervello».
Capito: meridionalista ad honorem...
«Sono sempre per il Sud e a Lecce, dove ho girato i miei ultimi film e dove ho tanti amici cari, mi hanno fatto cittadino onorario. Ora sono a tutti gli effetti anche un regista leccese».
A questo punto le manca solo la cittadinanza onoraria di Napoli.
«Sarebbe stupendo».
Intanto sta scrivendo un film con Gianni Romoli che s'intitola «Napoli velata». Di che si tratta?
«Voglio raccontare la città di oro e polvere, la sua cultura millenaria e i suoi prìncipi decaduti, il lungomare senza traffico e la folla del centro storico. Una città pagana e sacra allo stesso tempo, come l'ho vista io entrando nelle case, conoscendo la gente».
Niente Gomorra?
«Non ce n'è traccia. Parleremo di arte, il film sarà un thriller con una storia d'amore molto forte».
A proposito: ha visto la serie su «Gomorra»? Che cosa ne pensa?
«L'ho vista sì, ed ero pazzo di donna Imma. Ora lo sono di Chanel e ho detto allo sceneggiatore Stefano Bises che non facessero scherzi, voglio assolutamente ritrovarla nella terza serie. Gomorra è fatta molto bene e l'ho seguita con interesse, ma non condivido le preoccupazioni di chi teme possa danneggiare l'immagine della città. Per me avrebbe potuto raccontare con uguale intensità New York o Parigi o un'altra metropoli qualsiasi. Napoli, come la conosco io, è un'altra cosa».
E cioè?
«È come ce la racconta Elena Ferrante nei suoi libri, aperta, sensibile, con una voglia di imparare e di vivere così forti da squarciare le inevitabili ombre».
Si capisce che la saga dell'«Amica geniale» l'ha conquistata.
«Completamente, ho comprato tutti i libri di questa misteriosa autrice, ho letto e riletto le parti che mi piacevano di più. Anche in Turchia la Ferrante va fortissimo».
Un caso editoriale di proporzioni sempre più vaste. Qual è il suo segreto, secondo lei?
«Sa rendere universale il locale, da un quartiere di Napoli apre le finestre sul mondo. Ecco la magia di Elena Ferrante. La penso allo stesso modo per il cinema: e così mentre tutti fanno film in inglese, io ne giro uno in napoletano».
Nel frattempo è tornato in Turchia per le riprese di «Rosso Istanbul», tratto da un suo romanzo di successo.
«Ma la storia conterrà parecchie novità rispetto al libro, sono molto contento del risultato. A Istanbul abbiamo lavorato benissimo, con attori e tecnici eccellenti, il meglio di un'industria cinematografica di livello hollywoodiano. Finito il missaggio, a febbraio saremo in sala».
La Turchia non attraversa un momento semplice. Il suo lavoro ne ha risentito?
«Ne sono successe di tutti i colori, tant'è che ho deciso di aprire il film con la didascalia 13 maggio 2016. Significa: in questa data Istanbul era così. Ora la città si sta trasformando per tanti aspetti, ma comunque rimane sempre affascinante e niente affatto pericolosa come sento dire. Del resto, dove possiamo sentirci davvero fuori pericolo, oggi?».