“Shin Godzilla”, il mostro nucleare simbolo dei nostri tempi

Una sequenza di "Shin Godzilla"
Una sequenza di "Shin Godzilla"
di Federico Gironi
Martedì 4 Luglio 2017, 18:05 - Ultimo agg. 10 Luglio, 16:44
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Dalle bombe su Hiroshima e Nagasaki al debutto al cinema della creatura che incarnava le ansie e la distruzione legate al nucleare, passarono nove anni. Nove anni, e l’incidente di un peschereccio giapponese, contaminato in seguito agli esperimenti americani sull’atollo di Bikini.

È nel 1954, infatti, che Tomoyuki Tanaka - boss della Toho, una delle più grandi case di produzione del Giappone - ha l’idea di un film che racconti di un gigantesco lucertolone che emerge dal Pacifico per portare morte e distruzione: il primo, indimenticabile “Godzilla” diretto da Ishiro Honda.

Dal disastro di Fukushima alla rinascita della bestia in patria, con un film che spezza la tradizione dei sequel più o meno apocrifi e ne rifonda da capo il mito (reboot, si dice oggi), di anni ne sono bastati appena cinque. Cinque anni, e un nuovo tentativo hollywoodiano di impadronirsi egemonicamente di quell’icona radioattiva.

Il primo era maturato alla fine del XX secolo, col film con Matthew Broderick e Jean Reno diretto nel 1998 da Ronald Emmerich. Stroncato dalla critica e apprezzato tiepidamente dal pubblico, portava Godzilla a devastare New York con l’intenzione di figliare a Central Park; e col suo tono sopra le righe e più o meno sottilmente ironico (la tagline promozionale era «Size Matters») è diventato in fretta un vero e proprio guilty pleasure, tanto che di recente il sito americano The Ringer - che mette assieme sport e cultura pop - lo ha piazzato al numero uno della sua classifica dei “Cinquanta migliori film così brutti da diventare belli” della storia.

Emmerich non realizzò mai la trilogia che sognava, mentre già sono in cantiere sequel e cross-over del Godzilla cupo e seriosissimo firmato nel 2014 da Gareth Edwards: attorno al quale, come va di moda in questi anni, hanno costruito tutto un universo narrativo (lo chiamano MonsterVerse) che porterà il lucertolone americano a scontrarsi con il King Kong rebootato da Jordan Vogt-Roberts in “Kong: Skull Island”. Proprio come accadeva nei b-movie di Ishiro Honda degli anni Sessanta e Settanta.

Se i film di Hollywood, però, riducono Godzilla a pura icona spettacolare, “Shin Godzilla” -  ora nei cinema italiani nelle sale del circuito Stardust, dopo aver sbancato i botteghini nipponici nel 2016 - è diverso.
Diretto da Hideaki Anno, l'uomo dietro alla saga di “Neon Genesis Evangelion”, e dall’esperto di effetti speciali Shinji Higuchi, supera la bidimensionalità un po’ stolida dei blockbuster americani: perfettamente a cavallo tra passato e presente (come sintetizzato dal mostrone realizzato con un tecnica mista che mette assieme i costumi in lattice di una volta con le più moderne tecnologie digitali), questo reboot giapponese mette l’uomo al centro del racconto, e non la creatura, e fa scelte contro-intuitive, in sottrazione, per tenere gli occhi di chi guarda incollati allo schermo. A tutto vantaggio dello spettacolo.

Soprattutto, però, tenta di rispondere implicitamente alla domanda: perché Godzilla oggi?
Il nuovo mostro giapponese è tutto nucleare, sì, ma non è solo quello che conta. Questo Godzilla, che distrugge più incidentalmente che per volontà di aggressione, è metafora di qualcosa di più del disastro di Fukushima: è il corpo gigantesco e incomprensibile dei mille problemi dei nostri tempi: problemi e sfide che non possiamo cancellare o annientare, ma con cui dobbiamo in qualche modo imparare a convivere, a cui la politica e le istituzioni, oramai simulacro di loro stesse, non riescono a dare una risposta valida, credibile, efficace.
Ecco perché Godzilla oggi. Oggi più che mai.
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