Bentornata Sophia, napoletana ad honorem

di Titta Fiore
Martedì 5 Luglio 2016, 16:27 - Ultimo agg. 16:29
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Ovunque si trovi, appena può Sophia Loren infila nel suo italiano forbito qualche parola di napoletano. Così, con apparente nonchalance e il divertimento nella voce. «È la lingua della mia vita», dice spiegando il piccolo vezzo, ma è evidente che quel tratto identitario, quello scatto di orgoglio le piacciono. Le piacciono assai. È grande anche per questo, donna Sophia. Perché ha saputo diventare una diva planetaria senza perdersi di vista.

Perché a dispetto di quel «ph» sofisticato nel nome d'origine che mamma Romilda volle darle, in omaggio a una riottosa nonna paterna, nonostante l'esotico cognome d'arte inventato per lei dal produttore Goffredo Lombardo, nelle piccole e grandi cose è rimasta se stessa: Sofia Scicolone, la ragazza lunga lunga e scura scura dal volto bellissimo che nella Pozzuoli del dopoguerra sognava il cinema. Con Napoli, i colori di Napoli, i profumi, i sapori, le voci di Napoli nel cuore.

La cittadinanza onoraria che il sindaco de Magistris le consegnerà sabato prossimo al Maschio Angioino con tanto di festa popolare non è, allora, un semplice omaggio a un personaggio di fama stellare, ma il coronamento di un legame speciale fatto di carne e sangue. Affetti, luoghi, ricordi, set memorabili, sperdimenti, lacrime e sorrisi, tutto si tiene nel patto d'amore che Sophia e la sua città d'elezione hanno stretto da tempo immemorabile. «Napoli è nel mio Dna» ripete lei ogni volta, e non a caso ha voluto girare tra i vicoli popolosi non lontani da piazza del Plebiscito anche l'ultimo film, «Voce umana», chiedendo a Erri De Luca di tradurre con accenti veraci il monologo di Cocteau sullo strazio di un amore finito, perché solo nella propria lingua si può dare corpo alla passione.

A ogni ciak la gente affacciata ai balconi applaudiva come a teatro: «Sofi' sei il nostro orgoglio». Lei mandava baci, maestosa come una regina di cuori. A casa. Si sentiva a casa. La Loren è napoletana quando pretende che gli amatissimi nipotini dagli occhi «azzurri come laghi trasparenti» imparino qualche parola dell'antico dialetto di famiglia, quando cucina per affetto imponenti parmigiane di melanzane e quando sorride amabile del proprio mito («I premi vinti? Non so se li merito, ma li spolvero tutte le mattine»); quando si vanta di aver inciso «un bellissimo disco su Di Giacomo» e quando racconta come un segreto d'amore la ricetta del ragù.

La Loren è napoletana nel rigore e nell'impegno profusi nel lavoro, nella tenacia e nella volontà caparbia di darsi sempre e comunque un obiettivo. Nell'entusiasmo che mette nelle cose e nella capacità di commuoversi per un'emozione, per un gesto, per la bellezza struggente di un panorama ritrovato. «In fondo non è mai veramente partita» dice con tenerezza di figlio Edoardo Ponti, «mamma Napoli se la porta dentro». E allora, ancora una volta e per sempre, bentornata Sofia.
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