Maldestro, il cantautore napoletano che fa man bassa di premi

Antonio Presteri, in arte Maldestro, in una foto di Davide Visca
Antonio Presteri, in arte Maldestro, in una foto di Davide Visca
di Federico Vacalebre
Martedì 17 Dicembre 2013, 18:17 - Ultimo agg. 17 Luglio, 11:55
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C' un ventottenne cantautore napoletano che sta facendo strage di premi, da quelli minori (il concorso per emergenti del teatro Trianon) a quelli pi storici e prestigiosi (ha vinto prima il Premio Ciampi e poi, pochi giorni fa, il Premio De Andr, sempre con il brano Sopra il tetto del Comune). Lui si chiama Maldestro , nome d’arte che ho scelto perch mi racconta per quello che sono, meglio del mio stato all’anagrafe, spiega. Gi perch, in realt, si chiama Antonio Prestieri, figlio del boss Tommaso, da anni in galera, ma anche impresario teatrale, manager di cantanti neomelodici, discografico (anche della compagna Rita Siani). «Speravo di aver detto tutto quello che serve su questo argomento in un documentario della Bbc in cui mi sono raccontato a cuore aperto», si sfoga Maldestro , «ma capisco che serve, ogni volta, ribadire che ho scelto un nome d’arte per non sentirmi ripetere sempre la stessa domanda, non per paura di fornire risposte.



Non ho mai vissuto con mio padre, mia madre Rachele quando avevo due anni ha portati via me e mia sorella e ci ha cresciuti nella legalità. Ho capito di chi ero figlio da bambino, a 12 anni, a scuola: ho dovuto vincere il pregiudizio che un figlio dovesse per forza essere uguale al padre. Io non lo sono, ho scritto testi teatrali contro la camorra, li ho rappresentati, anche se non vorrei essere sui media solo perché nato nel ventre di Gomorra, solo perché ho avuto il coraggio di non finire nel Sistema e di non fuggire, di reagire con l’incoscienza alla paura di finire vittima d’una vendetta indiretta».



La musica e il teatro sono stati una boccata d’aria pulita: «Ho iniziato a studiare piano a nove anni, poi il teatro è entrato nella mia vita e l’ha cambiata, mi ha dato voce. Nel 2009 ho portato in scena ”Diamoci un taglio”, riferito alla camorra, facevo anche i nomi e i cognomi». Quindi è arrivata la canzone: «Mi è sempre piaciuta, ma sono solo sette mesi che credo di poter praticare questa strada. E lo credono anche i direttori di premi importanti, gli spettatori che mi hanno confortato con i loro applausi e le loro parole».

Modelli, maestri? Il signor G, innanzitutto, si direbbe: «Certo, Gaber, in modo da poter coniugare il teatro con la canzone. E, poi, Fossati e De Andrè, i migliori di tutti, di sempre». «Sopra il tetto del comune» è una ballata un po’ folk, dai toni irish, storia di un operaio licenziato che cerca soluzione ai suoi problemi arrampicandosi sul municipio.



Sotto, negli uffici, tutto continua tranquillo, e davanti ai suoi occhi scorre una vita sprecata: la famiglia a cui non può provvedere più, la consapevolezza di essere «fuori dal mercato» (ha 50 anni) con la pensione come l’orizzonte che più ti avvicini a lei e più si allontana. I protagonisti e le tappe di un dramma ormai tristemente quotidiano ci sono tutti: i sindacati che non sanno rappresentare il mondo del lavoro che non c’è, la piazza che rumoreggia, la disperazione, la voglia di lasciarsi andare, il salto finale nel vuoto.



«Volevo raccontare in maniera concreta l’effetto della crisi: sarà anche cominciata nelle grandi banche e tra i signori dell’alta finanza, ma poi la paga la povera gente». Prossimo step di una carriera appena iniziata il primo album: «È quasi finito e presto uscirà, spero. Dentro ci sono canzoni d’amore e anche di rabbia, anche contro il Vaticano».
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