Peppe Gomez: «Dagli U2 ai Coldplay storie di rock a Napoli»

Peppe Gomez: «Dagli U2 ai Coldplay storie di rock a Napoli»
di Federico Vacalebre
Giovedì 22 Settembre 2022, 08:56
5 Minuti di Lettura

Strano ma vero: Giuseppe Gomez Palomba non ha nemmeno una foto con gli artisti di cui ha organizzato i concerti. E sì che sono tanti e prestigiosi. «Da qualche parte ne devo avere una, una sola, con George Benson, ma non la trovo». Peppe, 60 anni, è l'uomo che porterà i Coldplay a Napoli o, come spiega lui, «che ha approfittato della voglia della band inglese di regalarsi una grande concerto in una città del Sud».

Appuntamento, per chi ha i biglietti in tasca, il 21 e 22 giugno dell'anno prossimo, al Diego Armando Maradona.
«Sì. Riapriamo lo stadio alla grande musica internazionale».

Per mestiere fai il promoter, organizzi spettacoli. Ma come hai iniziato?
«Da appassionato di musica ho aperto un negozio di dischi, Godzilla, in via Schipa. Ma la zona non funzionava, De Marco e Top Music al Vomero andavano forti, stava per aprire la Flying Records... Non era cosa. Chicco Marin, uno che ha fatto la storia del rock a Napoli, mi suggerì di puntare su un'agenzia di prevendita che potesse anche mettere in piedi concerti. Eravamo a cavallo tra il 1986 e l'87, nacque Concerteria».

Primo live organizzato?
«Gli Iron Maiden al palazzetto Mario Argento, che oggi non c'è più, come molti protagonisti di questa storia, purtroppo. Era il 18/12/1986, io ero socio di Chicco, di Franco Troiano, altro mito del live in Campania, e di Franco Mamone. Non sapevo dove mettere le mani, osservavo, imparavo».

Supporter erano i Wasp. Eri nel «tuo»: nasci metallaro.
«Sì, ma ho sempre saputo che dovevo occuparmi di tutta la musica, non solo di quella che mi piace che, anzi, purtroppo frequento poco, anche se oggi sono meno metallaro di allora».

Che succede dopo quella notte heavy metal?
«Con Marin portiamo all'allora Teatro Tenda Partenope Pat Metheny, Spyro Gyra, John McLaughlin.

Per me ogni concerto è un esame, studio le varie materie: i contratti, la promozione, la security... Quando Chicco se va dall'Italia mi occupo di booking, con Antonio De Guglielmo, imparando altri aspetti di questo lavoro: vendevamo le esibizioni di Antonio Onorato, i 666, gli Avion Travel, Consiglia Licciardi, Roberto Murolo».

Da Murolo ai Coldplay un bel salto.
«In mezzo c'è di tutto. Nel 91 faccio società con Sigfrido Caccese e cerchiamo di farci spazio come organizzatori in Puglia e in Abruzzo, perché Napoli allora era terra di Riccardo Bucci e Rocco Lino».

Sgomitando arrivate al San Paolo.
«Sì. Bucci e Lino non lavoravamo con gli internazionali, noi - che intanto abbiamo tirato dentro anche Pasquale Aumenta - avevamo fatto i Level 42 e i Simply Red con Fran Tomasi e il manager ci contatta per portare gli U2 a Napoli. Il sindaco Polese va per le lunghe nella concessione del manto erboso, i tifosi protestano, noi organizziamo persino uno sciopero del sonno in piazza del Plebiscito».

E il 9 luglio 1993 arrivano Bono & Co, preceduti nientepopòdimeno che dai riformati Velvet Underground e da un giovane Ligabue.
«Da lì in poi non dico che la strada è in discesa, ma quasi: siamo coinvolti nell'organizzazione, sempre al San Paolo, del trio Pino Daniele, Jovanotti e Ramazzotti».

Era il 13 giugno 1994.
«È il concerto con più spettatori paganti a Napoli di sempre: 75.600, troppi persino per le norme dell'epoca».

A proposito, ma questo lavoro rende bene?
«Sì, ma presenta rischi, pretende disponibilità di capitali e un giro di anticipi; funziona più se sei il manager nazionale che locale (come me), più al Nord che al Sud».

Ma no... Vabbè, riprendiamo la tua storia.
«Vado avanti con Caccese senza Aumenta, che ormai è il boss dei palchi in Italia e non può distrarsi da quel fronte. Sting, Bocelli a Pompei, Santana, Bryan Adams, i primi Neapolis festival... Poi mi separo anche da Sigfrido, ritrovo Chicco, portiamo Sting a Montesarchio; Dylan all'Area Flegrea; George Benson, Michael Bublè e James Taylor a San Leucio».

Sei diventato uno grosso, ormai.
«Sì, e dopo la morte di Franco Troiano Napoli è tornata più attrattiva di Cava de' Tirreni. Da quel momento ho lavorato con tutti, tutte le grosse agenzie e tutti i grossi manager di artisti italiani: Live Nation, D'Alessandro e Galli, Friends&Partners, Vertigo, Vivo, Claudio Trotta, Zard padre e figlio... Ho fatto cinque tour e undici show di Vasco Rossi, e poi Pausini, Jovanotti, Morcheeba, Massive Attack, Zero, Giorgia una ventina di volte, Ramazzotti, Baglioni, Mannoia, Venditti, De Gregori...».

Quest'anno il doppio Ultimo e il Blasco dei record. E l'anno prossimo i Coldplay. Ma come li hai convinti?
«Volevano venire loro, hanno mandato un collaboratore, hanno visto che le condizioni erano buone e... il doppio sold out è sotto gli occhi di tutti».
Ma perché Napoli resta fuori dai grandi circuiti internazionali?
«Perché è più lontana di Roma da Milano (e dal resto d'Europa), perché l'Olimpico è più capiente, almeno 10.000 posti in più, ovvero circa un milione di euro a data. Perché c'è un certo snobismo geografico. E un tempo anche burocrazie più asfissianti. Ora no: con De Magistris e con Manfredi si lavora bene».

Perché fai questo mestiere?
«Non lo so, lo maledico, poi appena stacco sono in astinenza. È una droga, o quasi».

concerto più... redditizio?
«Direi le sei date di Vasco Rossi nel 2009 al Palamaggiò».

E quello meno redditizio, il «bagno» più memorabile?
«Una Pausini alla Mostra d'Oltremare, aspettavamo 15.000 persone, ne vennero 5.000».

Il più bello?
«Non lo so, ma forse quello che mi è più caro è uno show dei Buena Vista Social Club al Palapartenope. Marin ebbe l'intuizione di mettere posti a sedere davanti e in piedi dietro: quando vedemmo la gente che ballava ci emozionammo anche noi».

E ora?
«E ora, se dopo i Coldplay riusciremo a reinserire stabilmente Napoli nel circuito della grande musica, mi dirò un manager soddisfatto».

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