Quarant'anni di «Exodus»: alle radici della leggenda Marley

Quarant'anni di «Exodus»: alle radici della leggenda Marley
di Enzo Gentile
Lunedì 19 Giugno 2017, 08:39
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La rivista «Time» nel 2001 lo proclamò miglior album del ventesimo secolo, precisando il giudizio con una motivazione che non lascia dubbi, né ammetteva repliche: «Ogni canzone è un classico, dal messaggio d'amore all'inno rivoluzionario: un intreccio politico e culturale che trae ispirazione dal Terzo Mondo e gli dà voce a tutte le latitudini». In tempi di anniversari e ricorrenze, impossibile farsi sfuggire l'occasione per celebrare un disco-manifesto come «Exodus», che Bob Marley assistito dai suoi Wailers pubblicò il 3 giugno 1977, poche settimane prima che al musicista venisse diagnosticato il melanoma che lo porterò alla morte: era tempo di punk e disco music, di rivolgimenti ideologici e tensioni assortite, che il profeta del reggae seppe tradurre con quello che unanimemente è stato accolto dalla critica internazionale come un capolavoro.

Brani epocali, entrati di diritto nella colonna sonora di una generazione come «Natural mystic», «Jammin'», «Waitin' in vain» o la conclusiva «One love», erano al centro della poetica del cantore giamaicano, allora poco più che trentenne, ma già maturo e affermato: la fama planetaria che gliene venne non ne arrestò la creatività, non scalfì la compattezza della band e quel disco, ancora più di altri fiori profumati di una carriera ricca e intensa, sarebbe rimasto ben fisso nell'immaginario collettivo. Siamo, insomma, alle basi, ma anche all'apice, della leggenda del santo fumatore.

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