Sanremo, cinquant'anni per ripartire da Tenco

Sanremo, cinquant'anni per ripartire da Tenco
di Federico Vacalebre
Martedì 24 Gennaio 2017, 08:40 - Ultimo agg. 16:36
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Lo spettacolo deve andare avanti, ma lo showbiz ha imparato a non imbarazzarsi più quando la vita reale fa drammaticamente irruzione sulla scena, come successe quella notte tra il 26 e 27 gennaio 1967 nella stanza 219 dell'hotel Savoy di Sanremo. «Signore e signori, buona sera. Diamo inizio alla seconda serata con una nota di mestizia per il triste evento che ha colpito un valoroso rappresentante del mondo della canzone. Anche questa sera, per presentare le canzoni, è con me Renata Mauro. Allora, chi è il primo cantante di questa sera?», disse Mike Bongiorno: il «valoroso rappresentante del mondo della canzone» era Luigi Tenco, «il triste evento» il suo suicidio, anche se qualcuno continua a dubitare che sia stato tale, e può farlo grazie al pasticciaccio brutto delle indagini, con cadaveri spostati e un commissario che apparteneva alla P2, forse anche a Gladio.

Per anni, il nome del cantautore divenne impronunciabile a Sanremo, dove pure, come in un atto di riparazione postumo, Amilcare Rambaldi aveva fondato un festival della canzone d'autore intitolato a Luigi e che, soprattutto negli anni più eroici, fu davvero un antiSanremo. Oggi, però, il fantasma dell'uomo di Cassine non fa più paura a nessuno. «Ho chiesto a tutti i Big di questa edizione di non pensare a lui per la manche delle cover, perché gli dedicheremo uno spazio: talvolta basta poco per fare un bell'omaggio», spiega il conduttore-direttore artistico Carlo Conti. «Inizieremo la prima serata, quella del 7 febbraio, nel suo nome: due anni fa ho aperto con Fanfare for the common man di Aaron Copland, nella scorsa edizione con Starman per ricordare Bowie che era appena scomparso, questa volta non possiamo che ripartire da Tenco».

Come? Conti non si sbottona, ha a disposizione l'orchestra, 22 Campioni o presunti tali, 8 Giovani, più gli ospiti, tra cui ci sarà anche quella Sveva Alviti che ha appena portato al cinema la leggenda di Dalidà, che di Tenco fu compagna e che era con lui in quei drammatici ultimi giorni sanremesi. «Ciao amore, ciao», quasi fatalmente, il pezzo da intonare.

Intanto, il Club Tenco prova a fare i conti con se stesso proprio come la cultura italiana fa con il lascito di un cantautore che sapeva parlare meglio d'amore («Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare») che di sociale, ma che aveva capito prima di tanti, che non aveva più senso cantare l'amore se non calato nel sociale. Le poste gli dedicano un francobollo da 95 centesimi e in libreria arrivano ben tre volumi, senza che si abbia notizia di omaggi discografici: è vero che gli inediti possibili sono stati tutti pubblicati in questo mezzo secolo, ma una bella integrale, con testi accurati e una ricerca iconografica e d'archivio non ci sarebbe stata male, anzi. Aldo Colonna, narratore, poeta ed assistenta alla regia di Monicelli, firma per Bompiani Vita di Luigi Tenco. Anche Michele Piacentini, portavoce della famiglia (dopo la morte del fratello Valentino sono rimasti i nipoti) in Luigi Tenco (Imprimatur) ripercorre l'esistenza del cantautore. Meno tradizionale, invece, è il lavoro dello psichiatra Gaspare Palmieri e del giornalista Mario Campanella in Forse non sarà domani. Invenzione a due voci su Luigi Tenco (Arcana) con interviste a Guccini, ma anche l'antipsichiatra Giorgio Antonucci. «Il suicidio di Tenco resta inspiegabile, forse la storia con Dalida, anche se il fratello mi ha sempre detto che fu ammazzato», racconta Guccini, uno di quei colleghi, come Vecchioni, che il Premio Tenco lo hanno costruito serata dopo serata, bevuta dopo bevuta, sigla («Lontano, lontano» di Tenco) dopo sigla.

Poi verrà «Luigi Tenco. In qualche parte del mondo», in oltre venti serate-tributo dal 18 al 25 marzo per tutt'Italia, in Campania per ora si è prenotata Aversa. Ma forse è arrivato il momento, anche in vista dello show sanremese di «pacificazione», di ripartire dalle canzoni del «giovane angelo che girava senza spada» (De Gregori in «Festival»), da «quelle labbra smorte/ che all'odio e all'ignoranza/ preferirono la morte» (De André in «Preghiera a gennaio»). Il biglietto d'addio di Luigi si presentò come «atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione». Certo, sono solo canzonette, ma l'omaggio più bello che Sanremo poteva rendergli, cinquant'anni dopo, era un elenco di canzoni decorose: non è successo. Più facile, più d'effetto, cantare: ciao Luigi, ciao.