Foja alla prova del nove:
fischia forte il treno del newpolitan rock

Foja alla prova del nove: fischia forte il treno del newpolitan rock
di Federico Vacalebre
Sabato 3 Dicembre 2016, 10:23
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Una vita da mediani, ma veraci. Al terzo album («e chi credeva di arrivarci!», scherzano-confessano loro), i Foja rilanciano con «'O treno che va», a metà strada tra il folk del predecessore e l'istintività naif dell'esordio, facendo lezione dei successi raccolti (con le colonne sonore, ma soprattutto dal vivo, soprattutto dal pubblico di casa). Dario Sansone conferma la scabrosa profondità vocale di un Eddie Vedder della città porosa e, attorno a lui, la band - Ennio Frongillo alla chitarra, Giuliano Falcone al basso, Luigi Scialdone maestro di corde, Giovanni Schiattarella alla batteria - cerca una strada mediterranea al rock-pop italiano, alla ricerca di una risposta sudista al Ligabue con cui condividono un'idea poco eroica del fare musica, inebriati dalla quotidianità del fronte del palco.

Il dialetto scelto come suono e identità, la coesione di un gruppo che non ha perso la forza propulsiva degli esordi, la sintonia con l'onda lunga newpolitana che sogna l'assalto al cielo - e al mercato - nazionale, la fantasia autarchica della indie vesuviana Full Heads fanno dei Foja una band pronta ad esplodere. «Sento che qualcosa sta per succedere», conferma il frontman, «ma non è detto che saremo noi a riportare, come ciclicamente avviene, Napoli al centro della scena italiana. Di sicuro noi rivendichiamo la nostra discendenza: in principio venne Carosone, primo americano di Napoli, poi arrivarono gli alfieri del neapolitan power, negli anni 90 toccò a Almamegretta e 99 Posse. Noi abbiamo iniziato quando non era più di moda cantare in napoletano, cosa che ora si porta: corsi e ricorsi, ma bisognerebbe approfittare del momento propizio».
 


Ecco, allora, i Foja che giocano le loro carte, molto aiutati dal lavoro di Scialdone, il loro Ry Cooder, unendo a storie partenopee suoni che sanno di old rock americano, più Johnny Cash che Pearl Jam, in un crogiuolo di mandolini e riff blues, intarsi folk e armoniche a bocca (quella di Edoardo Bennato in «Gennaro o fetente», storia di un pazzo del quartiere che si sente curatore artistico della «sua» piazzetta), armonie East Coast e chitarre killer (quella di Ghigo Renzulli dei Litfiba in «Aria e mare»), fiati pompati (a cura di Daniele Sepe) e storie nere da Far West gomorresco, speed country e armonie caraibiche, Messico e nuvole, ballate acustiche e ninne nanne (la conclusiva «Duorme»).
Lontani dal proclamarsi portavoci della loro generazione o leva cantautorale (praticamente coinvolto in una maniera o nell'altra l'intero staff di «Capitan Capitone e i Fratelli della costa»), ma anche dal sentirsi narratori delle riserve metronapoletane, i Foja cercano emozioni semplici, dirette, chiedono «A chi appartieni» pensando a una storia d'amore e non di clan, sudano e sperano di far sudare i loro fans. Come un Benetti più che come un Maradona, da mediani, capaci di decidere una partita però, di granitica presenza.

«Cagnasse tutto» è uno slogan armato più di anarchica cazzimma che del grillismo dilagante, «'O treno che va» è una title track che parla di chi sa da dove parte ma non dove deve/vuole andare, convinto che il meglio del viaggio stia nelle sorprese del percorso più che nella meta. «Buongiorno Sofia» è dedicata a una donna che potrebbe essere Napoli, è l'ennesima dedica-maledizione a una città-state of mind a parte. Ogni canzone, allora, più che una fermata è un binario, un annuncio di nuova destinazione. Così, tra profumo di mare e di maccheroni alla genovese spunta Nina che vorrebbe andare via, ma rimane ferma inchiodata dal ricordo, come una cultura che non sa scommettere sul proprio futuro ammaliata e tradita dal suo passato, come una generazione che ha mitizzato i padri putativi senza accorgersi che erano sterili.

Presentazione dal vivo all'Hart domani alle 19 (ingresso libero, ma chi compra il cd, nei negozi dal 9 dicembre, ha la precedenza), poi showcase e tour, aspettando di ascoltare le canzoni della band nel cartoon «Gatta Cenerentola» con Sansone tra i disegnatori e i registi, e poi di vederla anche in «La parrucchiera» di Stefano Incerti.

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