Gianna Nannini si è imposta presto come un’icona del rock al femminile, come personaggio fuori dagli schemi, amata dai movimenti femministi e capace di esportare il “made in Italy” all’estero. A cominciare dalla Germania, sua seconda patria, complice anche la storica collaborazione con Conny Plank. Tutta la sua carriera è un continuo dibattersi tra un’inesauribile energia e una dolcezza melodica che le ha garantito anche il gradimento del pubblico meno avvezzo alle sonorità rock. Anche nelle sbandate più commerciali, nei suoi hit più ruffiani, ha saputo distinguersi dalla massa del mainstream italiano, in virtù di apprezzabili doti canore, di una esuberante presenza scenica e di un approccio sempre molto viscerale. “Clito-rock” definisce la sua musica Christian Zingales. E non si può negare che la componente-sessualità abbia avuto un peso fondamentale nell’ascesa del personaggio, alimentata da un senso libertino della trasgressione.
Del resto la vocazione a scelte non consuete l’ha sempre accompagnata, da quando ha deciso di non lavorare nell’azienda pasticcera di famiglia per abbracciare il rock fino alla maternità da donna single e ultracinquantenne, nel 2010, quando è nata la piccola Penelope.
Evento circondato dalle solite polemiche, come quelle seguite alla sua bravata ecologista, quando strappò la bandiera dall’ambasciata francese, ai tempi degli esperimenti nucleari di Chirac a Mururoa. Oggi, Gianna, vive un po’ di rendita: stessa foga, stessa schiettezza, ma qualche idea in meno, rispetto ai tempi magici di “Ragazzo dell’Europa”, “California” e “Fotoromanza” (immortalata dal video di Antonioni). A 60 anni, d'altra parte, un po’ di quiete dopo la tempesta gliela possiamo concedere. Con tanti auguri.