Il ritorno di Lino Cannavacciuolo, un violino che cerca la visione interiore

Il ritorno di Lino Cannavacciuolo, un violino che cerca la visione interiore
di Federico Vacalebre
Domenica 26 Febbraio 2017, 20:01 - Ultimo agg. 20:48
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C'è un ritorno alle origini in «Insight» (etichetta Lucky Planets), il nuovo album di Lino Cannavacciuolo, che arriva a sette anni da «Pausilypon», dedicato a Rachel Corrie, pacifista americana uccisa nella striscia di Gaza mentre tentava di impedire a un bulldozer dell'esercito israeliano di distruggere alcune case palestinesi. Dopo gli esordi al fianco di Peppe Barra, il violinista si era trovato nei panni del fool, del freak con l'archetto a cui erano richiesti virtuosismi mediterranei, cavate da contaminatore selvaggio. Stavolta il virtuoso arriva dopo il compositore, che si fa minimalista e contemporaneo, ma a tratti anche neoclassico, affidando a ognuno dei nove brani un titolo che rappresenta uno stato d'umore, una modalità esistenziale.



Non a caso, il titolo rimanda alla capacità di «vedere dentro», immaginando il viaggio sonico come un ponte tra processi psichici consci ed inconsci, tessendo la sua trama tra il contrappunto di un quartetto d'archi, il pianoforte di Gilda Buttò e l'elettronica di Salvio Vassallo. Anche stavolta c'è una dedica, a Carla Ilenia Vassallo e tutte le donne vittime di violenza, ma «Light», uno dei brani più struggenti, ha il tono più personale del ricordo di un amico come Gino Evangelista.

La scelta melodica imbriglia il performer, il folletto, l'animale da palcoscenico, permettendo all'ascoltatore di concentrarsi sulla musica, sul flusso di note. E suggerendo la presenza del musicista puteolano anche in rassegne colte, oltre che in quelle, già frequentate, dedicate alle musiche di confine, tra la world music, l'avanguardia e quel che rimane dello stucchevole fenomeno new age. In fondo, il violino di Lino percorre le strade sonore tracciate dai neopianisti che sono riusciti ad arrivare all'attenzione delle platee generaliste, non fa nulla per chiudersi in un ghetto, cerca il pubblico non l'avanguardia.

Anche a costo di farsi tacciare di semplificazione, «Insight» insegue la comprensione dell'ascoltatore, cesella temi ma soprattutto atmosfere, fa della cantabilità un'arma discreta, scegliendo un suono a metà strada tra quello del violino da sala da concerto di musica classica e quello più acido e metropolitano dello strumento usato in chiave post-folk.
 
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