Mastelloni, 70 anni in quattro cd tra Mina e Dalida in napoletano

Leopoldo Mastelloni al trucco
Leopoldo Mastelloni al trucco
di Federico Vacalebre
Lunedì 12 Ottobre 2015, 13:02 - Ultimo agg. 13:38
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Si intitola «Cabala», ovvero «50 70 12 7 45» il cofanetto di quattro cd con cui Leopoldo Mastelloni dà i numeri della sua veracità e voracità canora. Numeri che dicono con le canzoni del suo settantesimo compleanno, caduto appunto il 12 luglio scorso, ma anche del mezzo secolo di carriera ormai alle spalle.

Canzoni napoletane o trasportate a Napoli - 63, se il calcolo è esatto - che dicono di una voglia di «riappropriarmi della nostra tradizione musicale, di riproporla alla mia maniera, eppure fedele a come la si cantava per strada, nei vicoli, nelle piazze, sui balconi, dalle finestre e nelle strade», racconta il cantattore napoletano, che nei primi due dischi del box, realizzato grazie al sostegno di Rocco Barocco e Barbara Mastroianni per la Incipit Record e con arrangiamenti spartani di Alberto Costa, piange le sue «Neapolitan tears» (da «’I te vurria vasa’» a «’Ndringhete ’ndra’») e vive le sue «Neapolitan passions» (da «Dicitencello vuje» alla mattoniana «Parlanno parlanno»).

Ma, senza nulla togliere all’intensa versione regalata a questi classici, alla capacità raffinata di porgere i versi sottolineando storie e personaggi cercando di non perdere l’incanto melodico in cui sono incastonati, sono il terzo ed il quarto cd a rendere preziosa l’operazione, raccogliendo «una dedica personale, divertente, tragica, melò alle voci femminili che più mi hanno ispirato».

Si comincia con «M’illumino d’immenso», gioco di parole per alludere all’operazione di rilettura, in dialetto, del canzoniere di Mina, «la nostra Sinatra, la nostra Fitzgerald, la nostra signora del blues, del rock, del pop. Come fare per dirle grazie, da parte di noi ragazzi del juke box, senza paragonarsi all’imparagonabile? Portandola a casa mia, regalandole la mia lingua che lei ha pur così bene frequentato in gioventù come in maturità, tra i classici e Pino Daniele. Ripoetizzando in napoletano alcuni suoi successi».

Un omaggio «gentile e umile», curioso e interessante, sensuale nei momenti insieme più arditi e riusciti, come «Se dimane» («E si dimane tu nun vulisse cchiù sta ’nzieme a me, si te scucciasse all’intrasatte dell’ammore mio pe' te...»), «Ancora ancora ancora» («Si me lasse, se capisce, me ne trovo una cchiù fresca ’e te... Dint’’o lietto so’ carnale e si voglio faccio male, ossaje...») e «L’importante è finire» («Votta ’nterra ’e lenzola, a cammisa me straccia, po’ nun me guarda nfaccia, comme gatta s’accuccia, po’ accumencia ’o lamiento, io me sento cuntento...»).

Il quarto disco traduce, ora in napoletano ora in italiano, con piglio ancor più teatrale, brani rubati al repertorio di Laura Betti («Io son’una»), Liza Minnelli («New York New York» diventa «Trianon Trianon»), Milly, Dalida («Je sui malade» diventa «Malata ’e te»), la Zanicchi («Ti voglio senz’amore» reclama «il diritto al sesso nella terza età, in polemica con il Sanremo 2008»). Il tutto con gusto camp da drama queen che passa dal sublime al trash senza badare alle mode, fedele ad una sorta di esistenzialismo vesuviano, ad un estremismo sentimentale, alla vita cantata come in un melodramma. Un omaggio da primadonna tra le primedonne.

Presentazione napoletana Il 7 novembre, alle 12, alla Feltrinelli di piazza dei Martiri.
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