Vanoni, compleanno a Napoli, poi il concerto ad Avella: «Ancora un disco prima di morire»

Ornella Vanoni
Ornella Vanoni
di Federico Vacalebre
Venerdì 23 Settembre 2016, 13:45 - Ultimo agg. 13:47
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Passeggiando sul lungomare, tra un selfie («bisogna farseli, sa, ma che rottura») e l’altro con i fan, Ornella Vanoni ritrova la «sua» Napoli, in cui ieri ha festeggiato il suo ottantaduesimo compleanno, «occasione preziosa per rivedere Gragnaniello, gli ho chiesto di scrivermi una nuova canzone, un disco nuovo prima di morire voglio farlo. Enzo mi ha detto che aspetta l’ispirazione, è un talentone, poteva avere successo internazionale, ma è pigro, molto pigro». E la festa, poi, continuerà stasera all’anfiteatro romano di Avella, nell’ambito di «Pomigliano jazz in Campania», «Free soul» il titolo del concerto: «Quando ho fatto “ ’Un filo di trucco, un filo di tacco” ero sfinita, due ore e mezza di canzoni e di racconti della mia vita, al pubblico piaceva, avrei potuto continuare, ma era troppo dura. Così ho chiamato Paolo Fresu, che è il mio consigliere per il jazz, e gli ho chiesto di mettermi in piedi un trio: mi sono portata dietro il violoncellista Piero Salvadori, sono arrivati Roberto Cipelli al pianoforte e Bebo Ferra alla chitarra. Una formazione strana, faccio canzoni americane, inglesi, i miei successi... Mi diverto, come si può alla mia età».
Età che le pesa e non le pesa, «tutto va vissuto con ironia, come insegnano i napoletani». E via Caracciolo le suggerisce ricordi partenopei: la vittoria al Festival di Napoli del ‘64 con «Tu si’ ‘na cosa grande» («Modugno era il sole, era il Mediterraneo, era l’elogio della vita vissuta con il vento in faccia: con “Volare” cambiò la storia della nostra canzone»), il Sanremo ‘99 con Gragnaniello e «Alberi», quella volta che incise «’A canzuncella»: «Troppo bella quella melodia», sussurra, e camminando canticchia a mezza voce il classico degli Alunni del Sole. L’amarcord continua, le porta alla mente «il mio primo maestro, Strehler: io ero una ragazzina borghese che non sapeva nulla, lui un genio che sapeva tutto. Per la mia famiglia era il diavolo, e pure di sinistra». E poi Gino Paoli, e poi Hugo Pratt: «Ecco, se posto dei suoi disegni, delle cose che mi ha dedicato, il popolo di Facebook mi ignora. Vuole polemiche, vuole ravanare nel trash. Ma io inseguo la bellezza, poco importa che anche se pubblico le bellissime cose di Laurie Anderson non mi vengono dietro. Alla mia età...».
La sua età che è la stessa che ha raggiunto solo un giorno prima dl Leonard Cohen: «Ce ne fosse in giro di poeti come lui. Per un po’ di tempo ha fatto il monaco zen, poi è tornato ed ha mostrato a tutti di essere ancora il numero uno. Fabrizio De André una volta venne da me, allora con il mio compagno del tempo avevamo una casa a Lucca, e mi disse: “ Ornella tu devi smettere con il pop. Meriti di meglio”. Poi tornò con una traduzione di “The famous blue raincoat”, che divenne “La famosa volpe azzurra” nella mia interpretazione».
Lungomare per lungomare, Napoli le ricorda Copacabana, «quando con un giovanissimo Caetano Veloso in salopette passeggiavamo senza sapere dove stavamo andando o che cosa avremmo fatto. La vita, ce l’ha spiegato davvero bene Vinicius de Moraes in quel bellissimo lp prodotto da Sergio Bardotti, è l’arte dell’incontro: allora i dischi nascevano vivendo insieme, mangiando insieme, ridendo insieme, piangendo insieme, finalmente registrando insieme. Ora tutto questo non si porta più e costa troppo, ti mandano una base e tu ci canti sopra come una deficiente».
Il mondo che la circonda oggi non piace a Ornella: «Trump mi fa paura, l’indifferenza dei giovani pure, anche se capisco che non possano sperare nel futuro». E l’amore? «Anche se oggi non ho un compagno, confesso che ho vissuto, amato, tradito, deluso. E sono stata delusa e tradita.

Ma ho una famiglia, quattro o cinque amici carissimi, e allora l’amore diventa un’altra cosa, compreso quello che ho per il pubblico e che ricevo dal pubblico. Una passione diversa, meno carnale, meno estrema, forse per questo più duratura».

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