Peppe Barra: «La Gatta Cenerentola ha 40 anni, festa per non dimenticarla»

Peppe Barra: «La Gatta Cenerentola ha 40 anni, festa per non dimenticarla»
Venerdì 10 Giugno 2016, 11:20 - Ultimo agg. 20 Giugno, 17:09
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Federico Vacalebre
Settecentonavantadue anni di saperi, non solo accademici. La Federico II festeggia il suo compleanno aprendosi alla città, consegnando (alle 17 nell’aula magna) la laurea ad honorem a Renzo Arbore, Enzo Moscato, la storica dell’arte Paola D’Agostino, il presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane Riccardo Monti, il procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, lo studioso di genetica molecolare Paolo Sassone Corsi. Ma perché tutta Napoli, e non solo le sue élite, facciano festa davvero, l’università ha organizzato, dalle 19, un concerto di Peppe Barra in piazza del Gesù, con un altro genetliaco da celebrare degnamente, i 40 anni della «Gatta Cenerentola» di Roberto De Simone.
Uno spettacolo storico, Peppe, tratto da Basile per raccontare la favola amara di una città figliastra, la nostra, vittima di una matrigna perversa, di occupanti «stranieri». Ma anche una città smemorata. Il compleanno della «Gatta» stava per passare inosservato.
«È vero, mi sarebbe piaciuto che se ne fossero ricordati al Festival di Spoleto, dove debuttò nel 1976, o al San Carlo. Ma, complice forse anche la... distrazione elettorale, chiamiamola così, i nostri politici avevano altro da fare che pensare ai fondi per una vera operazione culturale. Benedetta la Federico II che ci ha pensato, hanno anche tentato di mettere insieme altri protagonisti del cast originale, ma non è stato possibile: io ci sono, farò la «Canzone dei sette mariti» e reciterò la fiaba originale del “Pentamerone” di Basile da cui De Simone partì per scrivere il suo capolavoro».
Intanto, c’è anche il nuovo album, «... E cammina, cammina», in uscita domani per la Marocco Music/iCompany.
«È un live, registrato in giro per l’Italia, tra la Fenice di Venezia, l’università la Sapienza di Roma, il teatro Totò di Napoli... Mi piacciono i dischi dal vivo, gli applausi non mentono. E, poi, preferisco il palcoscenico agli studi di registrazione».
Il titolo arriva da un’antica perla di Pino Daniele, «Cammina cammina», in scaletta affiancata a Viviani («’O malamente»), Di Giacomo («Munasterio»), Gragnaniello («Vasame»), un classico napoletano come «Uocchie c’arraggiunate» con dedica a sua madre Concetta e a Eduardo De Filippo, e poi ancora il già citato Basile, Pisano-Cioffi («La pansè»)... Il tutto con un unico comun denominatore: l’interpretrazione da mattatore e istrione di Peppe Barra, accompagnato dalla sua fida band.
«Dal vivo racconto di aver vissuto tre secoli: l’Ottocento, grazie al racconto dei miei nonni. Il Novecento, grazie alla testimonianza di mammà e poi perché ci sono nato, nel ‘44. E poi il Duemila, purtroppo».
Purtroppo?
«Sì, non voglio fare polemiche, ma non mi trovo troppo bene in questi anni di silicone e silicio. Forse dovrei lasciarmi rottamare».
Meglio continuare la sua battaglia contro i mulini a vento, salendo ogni sera sul palco come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
«È quello che provo a fare, tracciando il filo rosso che porta dal barocco al neapolitan power, dal Regno delle Due Sicilie alla Napoli medaglia d’oro della Resistenza, unica città che si liberò da sola del giogo nazifascista. Tutto si tiene nella nostra storia e nella nostra arte, senza nascondere abiezioni e turpitudini, violenze e controindicazioni. Oggi, però, non si tiene più nulla, è solo apparenza, finzione. Roba da asocial network».
La sua è una Napoli caput mundi, una chiave di lettura per guardare al mondo intero. Una metropoli cosmopolita, non certo spaventata dal mondo che cambia.
«Il mondo che cambia fa paura a me, sarà l’età, la stanchezza, gli acciacchi. Napoli ne ha viste di tutti i colori. Così io posso raccontarla senza confini, trasformando l’”Idillio ‘e mmerda” di Ferdinando Russo in quella “Shit struck street blues”, che apre il disco. Così come posso tradurre nella nostra lingua il capolavoro di Bob Marley "No woman no cry”: le nostre donne, come quelle giamaicane, hanno bisogno di qualcuno che le inviti a nun chiagnere, che le rassicuri».
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