Pezzali: «Nostalgico pop che guarda al futuro»

Max Pezzali 2020
Max Pezzali 2020
di Federico Vacalebre
Domenica 25 Ottobre 2020, 17:57 - Ultimo agg. 18:32
3 Minuti di Lettura

Da sempre, Max Pezzali ha un tocco generazionale: prima con gli 883, poi da solista, ha giocato a narrare sotto forma di ultrapop se stesso e i suoi coetanei, punteggiando con voce da figlio della provincia lombarda e i simboli del tempo amori e disamori, illusioni e disillusioni. Ora, a 52 anni, con «Qualcosa di nuovo», che così nuovo non è ed uscirà il 30 ottobre, continua il suo percorso, accettando gli scomodi panni di quello che un tempo si sarebbe detto «un matusa» e oggi un «boomer» tra camei di Tormento, J-Ax e Jonny Scandal: «Il disco doveva uscire in aprile, quando è scattato il lockdown e mi è venuta una sorta di crisi etica: ma a che serve sta roba in un momento simile?».
Ti sei risposto, Max?
«Oggi sì, per mesi non ci sono riuscito. In inglese c'è un'espressione, the elephant in the room, l'elefante nella stanza. Il senso più o meno è: a volte quando si verificano eventi macroscopici, come appunto la presenza di un elefante in una stanza, le persone rimangono talmente scioccate da parlare di tutto tranne che dell'elefante. E io non capivo come parlare di quello che ci stava succedendo, ci sta succedendo».
Quindi? Le cose non sono migliorate, anzi.
«Mi è arrivata la canzone del titolo, diventata anche singolo di lancio. Michele Canova, che l'ha scritta con Jacopo Ettorre, me l'ha mandata da Los Angeles e ha messo in moto qualcosa. Mi serviva qualcosa di nuovo, ci serve qualcosa di nuovo, ecco, spero che in questo disco qualcuno trovi come rinnovare la propria colonna sonora quotidiana».
Un disco rimandato, come la tua prima volta a San Siro, slittata al 2021, 9-10 luglio.
«E speriamo bene, che sia tutto finito per quelle date. Come ha sintetizzato Lodo Guenzi dello Stato Sociale: tutto questo è la rappresentazione poetica della sfiga degli 883».
La «poetica» di Pezzali non è mai stata tanto nostalgica come in questo disco.
«Ma non è un amarcord fine a se stesso. Il passato mi serve come cartina di tornasole».
Non si tratta, insomma, solo di rimpiangere i nostri capelli caduti.
«No, no. Serve per interpretare il presente, per prepararci quanto possibile al futuro. Anche se io ho sempre avuto una tendenza ossessivo-compulsiva per il passato».
Con brani come «I ragazzi si divertono», «Noi c'eravamo» che cita Springsteen, «7080902000» con J-Ax tra cartoni animati e immaginario collettivo dei ragazzi dei decenni scorsi, sembri quasi chiamare a raccolta insieme ricordi e coetanei.
«Le memorie di sicuro. I ragazzi al bar con una birra messicana sono ancora quelli che siamo stati noi. Noi che c'eravamo, ma non abbiamo fatto né il 68 né il 77, che siamo passati per pagine molto meno epiche come quelle dei paninari. Ma ci siamo ancora, poco eroi, abbastanza vivi, sopravvissuti persino ai nostri genitori, alle sigarette fumate persino nei cinema, alle macchine senza cinture di sicurezza, alle impennate sui motorini. E possiamo dire, come provo a fare io, ai ragazzi di oggi di viverseli in pieno questi giorni, persino quelli della pandemia, senza sentire il peso del paragone con il passato. Magari con Greta Thunberg salveranno il pianeta».
Niente niente che in questa crisi di mezza età c'entra tuo figlio Hilo, 12 anni, che compare anche, con Fabio Volo, nel video di «Qualcosa di nuovo»?
«Sì, per lui sono un boomer, fa male ammetterlo, ma fa bene capire chi si è, chi si diventa».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA