Maria Pia De Vito, una jazzista napoletana alla corte della Ecm

Maria Pia De Vito, una jazzista napoletana alla corte della Ecm
di Federico Vacalebre
Mercoledì 6 Novembre 2013, 16:27 - Ultimo agg. 16:31
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Una napoletana alla corte di Manfred Eicher. Maria Pia De Vito, ormai da tempo jazzista da esportazione, pubblica il suo nuovo album per la Ecm, storica etichetta discografica tedesca, che si fatta un nome creando un suono (quello di Keith Jarrett, Jan Garbarek, Ralph Towner...), sospeso tra jazz e musica colta, improvvisazione e note scritte. Abituata a passare da Raffaele Viviani a Joni Mitchell, dalle vocalizzazioni più ardite alle collaborazioni con Huw Warren, Kenny Wheeler, lo stesso Towner, Joe Zawinul... la cantante ha portato, per la prima volta, in casa Ecm, la sua lingua, il napoletano.

Nordica e «brumosa» anche nell’immagine delle copertine, la Ecm si scopre partenopea con «Il Pergolese», album che la vocalist divide con il pianista francese François Couturier, la violoncellista tedesca Anja Lechner e il percussionista Michele Rabbia, impegnati in una rilettura in chiave contemporanea delle partiture del compositore, organista e violinista Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi, dal soprannome dato ai suoi avi, originari di Pergola, nelle Marche. Nato a Jesi ma formatosi a Napoli, all’epoca vera capitale musicale, morì a Pozzuoli ad appena 26 anni.

I magnifici quattro di casa Ecm lo affrontano con rigore e fantasia, tessendo un disco che va oltre i confini della musica classica, ma non è jazz, attraversato com’è dalle percussioni e dai panorami digitali di Rabbia. «Nel 2011 il Festival Pergolesi-Spontini di Jesi mi chiese un progetto», racconta Maria Pia. «In quel momento lavoravo con Anja e Michele, mi sembrò logico sondarli: lei è una virtuosa che si è aperta alle musiche altre, lui mi poteva permettere di osare. Per me lavorare su suoni di tradizione vuol dire trovare una chiave contemporanea nel rispetto e nella consapevolezza di quello che si sta maneggiando».

Ecco, allora, arrivare il pianoforte di «Couturier, che con la Echner, la Ecm e il Tarkovsky Quartet aveva già lavorato sull’autore di «Lo frate ’nnammorato» e «La serva padrona». Il successo dal vivo, a Jesi e poi in qualche sporadico concerto, «hanno convinto Manfred Eicher a mettere l’operazione su cd», continua la De Vito, affascinata dalla personalità del mitico produttore, «capace di seguire ogni fase della lavorazione, di mettere la musica in primo piano sempre e comunque». Con la benedizione di un discografico così esigente, ecco un mix di stili e di linguaggi che non genera ibridi sterili, che non cerca la contaminazione a se stessa: «In Francia gireremo nel circuito della musica classica, in Germania per festival jazz, a Napoli debuttiamo sabato, nell’ambito di Pomigliano Jazz Winter, nella cornice barocca della chiesa di Donnaregina, ora museo diocesano». Occasione per cui si mobiliterebbe persino Eicher, atteso in città.

«Di fronte a pagine piene di fioriture e di grandi archi, ci siamo posti la domanda su come lavorare», spiega la jazzista: «Abbiamo scarnificato, ridotto, condensato, senza mai toccare l’essenza delle partiture, senza mai rinunciare al loro pervasivo richiamo melodico. Io ho interiorizzato i testi, non so cantarli altrimenti, a tratti li ho ridotti a brandelli vocali su fondali elettronici, in altri li ho liberati utilizzandoli come frammenti melodici. Ho iniziato per gioco ad usare il dialetto, al posto del latino e dall’italiano del periodo. Un dialetto essenziale, capace, soprattutto di fronte ad una pagina epocale come lo ”Stabat Mater”, a dire con pochissimi fonemi. Un’operazione azzardata, forse, ma non gratuita».

Couturier al piano permette ai suoi tre compagni di giocare tra interazione e improvvisazione, ogni tentativo eccessivo è bandito dai confini de «Il Pergolese», pur modernissimo nell’uso dei sampling elettronici che non cozzano mai con l’eleganza del violoncello della Lechner, anche lei preziosa voce solista.

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