D'Alessio l'artefice della riconciliazione : siamo un grande popolo

D'Alessio l'artefice della riconciliazione : siamo un grande popolo
di Federico Vacalebre
Giovedì 8 Gennaio 2015, 10:48 - Ultimo agg. 10:53
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Non voleva che si sapesse, Gigi D'Alessio, ma se Napoli ha salutato il suo Pino Daniele in piazza del Plebiscito molto è merito suo, di ventiquattr'ore di confronto, dialogo, discussioni anche accalorate con le famiglie del cantautore, smussando incomprensioni antiche e rinnovate, cercando di tenere insieme le volontà dei figli con quelle dei fratelli e della sua città.





Quando ce l'ha fatta si è sentito più leggero, pronto a tornare nel presente di polemiche innescato dal suo Capodanno proprio in quella stessa piazza: oggi sarà da Santoro per parlare di Terra dei fuochi, ieri è stato ospite di Vespa con James Senese, Lina Sastri e Tullio De Piscopo, per parlare del Nero a metà.



«Avrei preferito essere ancora una volta davanti al suo feretro, o forse restarmene a casa a ricordare l'amico che ho perso, ma non me la sono sentita di rifiutare l'invito di Bruno Vespa», spiega, cercando poi di ragionare sull'amore di Napoli per Daniele, ma anche su «alcune schegge impazzite di napoletanità più deteriore».



D'Alessio è dispiaciuto per alcuni commenti in rete in cui qualcuno si rammaricava che al posto del lazzaro felice non fosse, invece, morto lui: «Noi siamo un grande popolo, che sa anche farsi molto male da solo. Reagiamo con rabbia al razzismo nordico, ma poi diventiamo biecamente autorazzisti. I bolognesi non hanno reagito così quando è scomparso Dalla, nessuno ha pianto Lucio augurando la morte a qualche artista che amava di meno, tanto per fare un esempio. Lecito preferire un musicista ad un altro, lecitissimo trovare pessime le mie canzoni, ma come si può sperare nel decesso di qualcuno solo per i suoni di cui è responsabile, o per l'antipatia che si prova per lui?».



Con Pino parlavate mai della vostra amata-odiata città?



«Era uno dei temi ricorrenti delle nostre conversazioni. Lui era arrivato a Roma, dopo Formia, come in un esilio necessario per sopravvivere alla pressione popolare partenopea, io con qualche tranquillità in più, anche per essere più vicino al cuore dello show-business. Ma sapevamo benissimo quello che dovevamo a Napoli, alla sua canzone, alla sua musica. Una volta, ascoltando un mio pezzo, mi disse: ”Ma lo sai che sei ancora molto napoletano?”. Non sapevo se prenderlo come un complimento o un'offesa, non lo so ancora, forse era un po' l'una e un po' l'altra cosa, quasi a sintetizzare luci e ombre di una metropoli antichissima e modernissima, fatta di contraddizioni e di ossimori».



In questi giorni si corre il rischio di trasformare Daniele in un santino.



«Non lo era e non voleva essere un perfettino. ”Sono un cantante di blues e vesto male”, cantava, anche se poi sua moglie Fabiola era riuscita a renderlo elegante, a fargli trovare il gusto per il look, sia pure casual. Aveva un caratteraccio: oggi ti amava, domani si annoiava di te, dopodomani ti ignorava... Ma la musica sgorgava dalle sue mani come un miracolo. Io, però, pur considerandolo un maestro e pur avendolo invitato a mettere la chitarra in un mio disco, pur divertendomi come un bambino nelle rare jam session che ci siamo concessi, più che di musica con lui parlavo di vita. Abbiamo passato insieme un Capodanno, persino un Carnevale in maschera, non lui si intende. Fabiola e Anna si intendevano, eravamo un bel quartetto di zuzzurelloni».



Oggi ci sarà poco da scherzare quando il suo corpo sarà sottoposto ad autopsia.



«Non riesco neanche a pensarci, questa sua morte, già così drammatica, sta diventando una telenovela e non vedo l'ora che finisca. Capisco i dubbi sulla sua corsa disperata verso Roma, sono anche i miei, ma non riesco a immaginare la sua compagna, Amanda Bonini, nei panni della donna che l'ha spinto verso la morte. Piuttosto, chi conosceva Pino, riuscirà benissimo a immaginarselo ostinato nel voler arrivare a Roma, mettersi nelle mani fidate del suo cardiologo, Gaspardone».



E ora?



«Ora spero che tutto si chiarisca e il mio amico possa trovare finalmente il suo estremo riposo. Che i suoi figli possano crescere con il ricordo di un padre affettuoso, oltre che strepitoso artista. Che Napoli sappia tributargli, come si dice in queste ore, il giusto omaggio, ma anche approfittare della sua lezione per non cadere più vittima di provincialismi e razzismi».



Magari trovandosi unita, come al suo funerale, un piccolo capolavoro di diplomazia.



«Diciamo che sono contento di aver fatto da cuscinetto tra concezioni diverse sino a trovare una sintesi come quella di ieri sera.
Napoli è stata contenta di salutare Pino, lui sarebbe stato contento, e orgoglioso, del saluto della sua città. E tutti i suoi familiari sono andati via, ieri notte, con un groppo in gola, con una diversa consapevolezza di quanto era amato il loro uomo, padre, fratello...».