Riecco la Nuova Compagnia di Canto Popolare: «Mezzo secolo di folk meritava una reunion»

Riecco la Nuova Compagnia di Canto Popolare: «Mezzo secolo di folk meritava una reunion»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 12 Ottobre 2016, 12:33 - Ultimo agg. 12:46
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«E che bello il mio tempo, e che bella compagnia», cantava Fabrizio De Andrè in «Anime salve». Ed il loro tempo, quello che c’era prima, e la bella compagnia che sono stati per tanti di noi la Nccp la riassume ora in «50 anni in buona compagnia» (FoxBand/Edel), album doppio: perché il tempo da raccontare e cantare è tanto, e i compagni da ritrovare e da conoscere pure. Era il 1967 quando Carlo D’Angiò, Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello formarono il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il più importante gruppo del folk revival italiano. Il nome, Nuova Compagnia di Canto Popolare, fu un’idea di D’Angiò, poi venne Roberto De Simone a mostrare la strada, e arrivarono Lina Sastri (per un breve periodo), Fausta Vetere, Peppe Barra, Patrizio Trampetti, Nunzio Areni. D’Angiò andò via con Bennato, per formare i Musica Nova. La Nccp sfondò, con un piccolo aiuto da Eduardo De Filippo e un grande aiuto da De Simone, che li portò a Spoleto con «La Gatta Cenerentola». Poi altri addii e altri innesti, a partire da Corrado Sfogli, per arrivare sino a questa seconda giovinezza, quando intorno alla madonna folk Fausta Vetere e a Sfogli ruotano Pasquale Ziccardi, Gianni Lamagna, Michele Signore, Carmine Bruno e Marino Sorrentino.

Formidabili questi anni, Fausta?
«Anche di più: non rimpiango niente, o quasi, e sono felice. Tutti dicevano che il folk revival ci deve tutto, ma non volevano scommettere su di noi. Ma poi abbiamo ritrovato il nostro primo produttore artistico, Renato Marengo, e Rolando D’Angeli ha investito su di noi. Ora c’è un doppio cd, uno di inediti e uno di nostri antichi successi, e un nuovo tour che ci vedrà sul palco con gli Osanna: una festa».

Il disco è anche la cronaca di una reunion parziale.
«Abbiamo ritrovato Carlo ed Eugenio, che avevano dato inizio a tutto, e mai avremmo potuto immaginare che quella con D’Angiò sarebbe stata la sua ultima registrazione: scoprimmo solo quando Bennato ce la portò che stava così male da essersene andato prima di veder realizzato il disco».

La sua voce in «Madonna de la Grazia» è uno sforzo commovente di estrema testimonianza militante sul fronte della musica popolare. Bennato compare anche nella ripresa di «Ricciulina», villanella dedicata a un’antica prostituta. E Patrizio Trampetti torna al vostro fianco in «La morte de mariteto», che porta la firma di De Simone: l’assenza più pesante.

Sfogli: «Il maestro è come un genio che divora i suoi figli fortunati, come noi. Ma rimane un faro a cui dobbiamo tanto tutti».

E Barra?
Vetere: «Non ha potuto, o voluto, essere con noi. Però avevamo fatto una bella reunion in occasione del suo settantesimo compleanno».

E Mauriello?
«Credo sia stato condizionato dall’assenza di De Simone».

Però ci sono nuove compagnie.
«Innanzitutto, e qui parla anche la mamma, c’è Marco Sfogli, figlio mio e di Corrado, nuovo chitarrista della Pfm: ha messo l’elettricità e il prog rock in un nostro classico come “In galera li panettieri”, in cui ci sono anche Tullio De Piscopo e Lino Vairetti degli Osanna».

E poi c’è Pasquale Ziccardi la cui ugola, acida e scomoda un po’ come lo era quella di D’Angiò, spicca al fianco della tua calda, matura, profonda. Nella tammurriata «Napulitane»; in una rilettura della «Tarantella del Gargano» che proprio Carlo rilanciò per primo; in «Pascali’», storia di un musicista errante, libero come uno zingaro.
«Pasquale è maturato molto anche come autore, e si sente, il suo contributo è importante. Tra gli inediti ci sono canti sull’immigrazione come “Ma pecchè”, d’amore come “Meu core”, processionali come “Fujenti”».

E lo strumentale «Posillipo».
Sfogli: «Volevo ricordare la grande scuola chitarristica di Eduardo Caliendo, di cui sono stato allievo con Mauro Di Domenico e Lucio Matarazzo».

Nell’altro disco ci sono pezzi celeberrimi come «Cicerenella» e «Tammurriata nera» che nel 1974 vi portò persino in hit parade.
Vetere: «Nessun paragone con il passato, solo tanta voglia di continuare la nostra strada».

In fondo, i due dischi è come se chiudessero la diatriba con D’Angiò e Bennato, sulla musica popolare o in stile popolare: qui ci sono tutte e due.
«Carlo se n’è andato troppo presto. Dalla Nccp, per pressioni familiari, visto che suo padre preferiva un ingegnere a un musicista, oltre che per esigenze artistiche, ma soprattutto da questa terra. Inevitabilmente, il disco è dedicato a lui».

«E che grande questo tempo, che solitudine, e che bella compagnia», per dirla ancora con Faber quando scriveva con Fossati.

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