Vasco: che emozione nello stadio di Pino e Diego

Vasco: che emozione nello stadio di Pino e Diego
di Federico Vacalebre
Venerdì 3 Luglio 2015, 08:23 - Ultimo agg. 18 Marzo, 20:42
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«Finalmente torno al San Paolo, lo stadio di Diego Maradona, del mio amico Pino Daniele che qui ha tenuto alcuni memorabili concerti, ma anche dei Rolling Stones, in fondo sono sempre un rockettaro e il tour del 1981 chi se lo dimentica più». Con le sue rughe che confessano di aver vissuto («Non ho 63 anni, ma 36 di concerti»), Vasco Rossi è i visibilmente felice di aver rimesso piede sotto il Vesuvio.

Dopo le polemiche sull’erba (del prato) sono arrivate, meno prevedibili, quelle sui tornelli e sui megahertz.

Ma poco importa, il Komandante può fare il suo ingresso al San Paolo. Vasco Rossi è in forma, un tour da seicentomila spettatori non ammette sbandamenti, per due mesi all’anno ormai si allena e vive da atleta, «per il resto del tempo vivo come dico io, diciamo da atleta esistenzialista».

È visibilmente felice di aver rimesso piede all’ombra del Vesuvio, come conferma sul manto erboso conteso stringendo la mano al sindaco Luigi de Magistris: «Ti ringrazio, per aver permesso questo mio ritorno, per aver riaperto questo campo alla musica. Lo faccio a nome mio e del mio straordinario pubblico».

Magari anche a nome di Jovanotti, che arriverà a fine luglio,e dei suoi fans. Ma cominciamo dai tuoi, saranno in cinquantamila e più, questa sera. In arrivo da mezza Italia.

«Finché ci sono loro ha un senso quello che io faccio. Io sono venuto qui per portare gioia, adrenalina, emozione. E la mia platea, i miei ragazzi di tutte le età, quello vogliono condividere con me. Non voglio sollevare polveroni, ne vedo in giro già troppi, ma possibile che si voglia penalizzare proprio il pubblico dei concerti, dove non ci sono tifoserie avverse e armate? Proprio il popolo di un Mezzogiorno che di problemi ne ha già fin troppi? Possibile che solo qui calcio e rock non possano convivere negli stessi spazi?».

Ormai sei di casa negli stadi.

«Quando ho iniziato gli italiani non cantavano sui campi da pallone, che erano appannaggio esclusivo delle superstar straniere come Bob Marley e Mick Jagger. Ho aperto una strada, e ormai sto più tempo io a San Siro che il Milan o l’Inter. Speriamo un giorno di poter dire lo stesso della mia presenza al San Paolo. Napoli è una città magnifica, registro qui, e solo qui, il dvd del mio tour perché so di avere a disposizione la cornice più bella e il pubblico più caldo possibile. È una scelta ponderata, ovvero di pancia, come tutte le cose che faccio».

Mancavi da tempo, come l’hai trovata?

«Appena sono arrivato, mercoledì sera, mi ha riconquistato in un attimo: per uno che vive a Bologna come me la vitalità che c’è sul lungomare la sera è roba eccezionale, da festa di Capodanno. E la sera dopo quando mi sono affacciato per salutare i fans che stazionano davanti l’hotel Vesuvio c’erano dei bambini che mi intonavano ”Canzone”. Avete tanto: la grande bellezza naturale e artistica, il clima, un’umanità particolare, vibrante, verace, carnale. Non vorrei essere banale, ma è inevitabile che abbiate anche tanti grandi problemi, dalla criminalità organizzata alla Terra dei Fuochi. E questo non vuol dire che questi problemi non abbiano dei colpevoli e che non debbano essere estirpati».

Torniamo al San Paolo.

«In questi undici anni di esilio ho suonato allo stadio di Cava de’ Tirreni, al Palamaggiò di Castelmorrone, ma non poter dare appuntamento al San Paolo mi bruciava. Quando ho saputo che quest’anno potevamo farcela mi è sembrato di mettere la ciliegina giusta sulla torta».

Prima ricordavi Pino Daniele.

«Era un grande, ma anche un’amico. Non dimenticherò mai una serata passata insieme, in famiglia, a casa sua. Amavo ”Je so pazzo”, lui tra i miei pezzi prediligeva ”Vita spericolata”, ce lo eravamo raccontati in tempo, lasciando perdere gli eccessi di ego e i pudori che spesso pesano sul nostro ambiente».

Accennare a «Je so pazzo» potrebbe essere un modo di rendere omaggio al lazzaro felice nello stadio che è stato suo? Pensi di ricordarlo?

«Non lo so, ci sto pensando, vedremo».

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