Video | Zen Circus: «Power pop
per la terza guerra mondiale»

Video | Zen Circus: «Power pop per la terza guerra mondiale»
di Federico Vacalebre
Giovedì 29 Settembre 2016, 08:58 - Ultimo agg. 10:10
3 Minuti di Lettura

Appino, Ufo e Karim Qqru in copertina fanno bisboccia davanti a una città distrutta dai combattimenti. È «La terza guerra mondiale» secondo gli Zen Circus: «Che ci sia questo rischio ormai lo dice persino il Papa», spiega il trio pisano presentando in Feltrinelli il suo nono disco in 18 anni di «molto sudata carriera underground»: «Noi usiamo l'ipotesi di un nuovo conflitto planetario per serrare le fila, ritrovare la distinzione tra amici e nemici, tornare a capire chi siamo».

A la guerre comme a la guerre, però: nell'album (La Tempesta/Master Music) la band rinuncia a tastiere, fiati, archi, a qualsiasi altro orpello. Chitarra, basso e batteria bastano e avanzano, con l'aggiunta di una voce intossicata dal mal di vivere come dalla voglia di vivere (almeno ogni tanto) bene. «Bastano per la nostra rabbia e la nostra ironia, per dire i nostri sogni e i nostri bisogni, per i combattimenti a cui non ci sottraiamo», spiega il frontman Appino. Power pop, allora, anzi rock, con «Ilenia», il primo singolo, che parte come «Start me up» dei Rolling Stones, ma poi guarda altrove, cantando l'amore al tempo delle piazze vuote e mute.

«Non voglio ballare» sa del primo Vasco Rossi, la conclusiva «Andrà tutto bene» ne riprende il messaggio in direzione ostinata e contraria: «Non vogliamo tranquillizzare nessuno, anzi, siamo inquieti come tutte le persone sane rimaste in circolazione». «San Salvario» e «Terrorista» sono cronache delle ordinarie follie che portano al mondo in fiamme in cui viviamo, «Pisa merda» è «il grido di chi è nato in provincia, dalla provincia è andato via, con la sua provincia - prima o poi - torna a fare i conti. Un discorso sulla gucciniana piccola città bastardo posto, senza demonizzazioni, senza esaltazioni».

Appino sa scrivere i testi («ma non voglio farmi leggere», canta), e a tratti descrive la fine dei trent'anni, quasi a raccontare che c'è vita, e dubbi, e desolazione, e speranza, e sesso, e noia, e clangore di chitarre, dopo Motta (e la fine dei vent'anni), anche se non si sta più nudi al balcone: «Ogni generazione ha i problemi che si merita e la nostra è davvero strana, abbiamo ancora il ricordo della vita prima dell'avvento dell'era digitale, nel nostro primo tour non avevamo nemmeno i telefonini, cosa impensabile».

Attesi dal vivo il 4 novembre allo Smav di Santa Maria a Vico, i tre non si sottraggono al dibattito del momento, sulla fine del suono indie e su Agnelli che continua a scatarrare sui giovani d'oggi, ma dall'alto della comoda posizione del giudice di «X Factor»: «Anche questo serve a chiudere il cerchio. Indie vuol dire indipendente dalle major e tu puoi esserlo facendo canzoncine per bambini, elettronica o inni porno. Da noi è diventato un genere o un sottogenere su cui oggi va di moda sparare, ma è come fare il tiro al bersaglio sulla Croce rossa. Troppo facile e fuori tempo massimo. Un tempo per me indie era un suono meraviglioso: il tempo in cui esplosero i Nirvana, in cui, non solo da Seattle, arrivava un altro rock possibile. Poi... Nevermind cambiò tutto», riflette il batterista Karim Qqru. «E a noi non resta che fare i conti con la nostra quotidiana terza guerra mondiale, sperando che sia un gioco e non una profezia», conclude tra gesti apotropaici il bassista Ufo.