Carla Fracci: «Ho iniziato ad amare la danza grazie ad un mignolo. Non fui la prima scelta, ero "da rivedere"»

Carla Fracci: «Ho iniziato ad amare la danza grazie ad un mignolo. Non fui la prima scelta, ero "da rivedere"»
di Francesca Cicatelli
Martedì 10 Maggio 2016, 22:57
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La "Signora della danza" Carla Fracci ha custodito intatta la grazia che le ha fatto meritare l'ingresso nella storia della danza, "per caso" grazie ad un consiglio di una coppia di amici dei genitori, che avevano un parente orchestrale alla Scala di Milano. Ma all'inizio la danza la annoiava, non capiva il senso degli esercizi ripetuti, del sacrificio "un momento molto duro" racconta, fino all'incontro folgorante con Margot Fonteyn che dopo il primo atto di un'esibizione si avvicinò al maestro che le corresse il dito mignolo della mano.

In quel momento scattò nella Fracci il "sentore dell'importanza della volontà e della dedizione, dell'essere coinvolta fino in fondo". I suoi genitori, padre tranviere, appena tornato dalla Russia, e madre casalinga non  avrebbero "mai pensato di iscrivermi a danza" e per lei danzare era come trascorrere una serata con gli amici dei genitori a ballare valzer, le era estranea sia la conoscenza della disciplina che del teatro. "La danza è stata una scoperta e una curiosità che mi è sorta successivamente. Ho iniziato a 10 anni ma l'ho amata con il tempo".
 




Carla Fracci ospite al Centro Campania per la Wellness Week 2016 invita i giovani a dare maggiore importanza ai maestri e a non demordere. Lei è un esempio di come l'impegno possa cambiare le cose: "Non fui scelta subito, ero nel terzo gruppo, tra quelli da rivedere". Alla fine ammette: "Non so se ci sarà un'altra Carla Fracci. I talenti oggi tra l'altro sono costretti  a emigrare". Ben vengano invece le scuole private anche se prima i corsi di danza erano gratuiti, "altrimenti non sarei mai diventata una ballerina" Utili anche i talent ma illusori: "Non si pensi di poter danzare e affrontare spettacoli di tre atti stando in tv sei mesi". E  infine sostiene "il contemporaneo deve avere una base comunque classica".  
 

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