«Moltitudini», voci e foto per Neiwiller

«Moltitudini», voci e foto per Neiwiller
di Giovanni Fiorentino
Sabato 16 Luglio 2016, 15:37
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La voce di Toni Servillo risuona nelle trecento stanze dell'Archivio Storico del Banco di Napoli, a via dei Tribunali. Si insinua tra i grandi e pesanti faldoni accatastati ovunque, calda e plurale, riportando direttamente nelle viscere di Napoli e ricostruendo in una terza dimensione la profondità e la ricchezza della molteplicità di questa città imprendibile, oltre che di una infinità di storie che si accumulano vertiginosamente. L'altra sera al terzo piano di Palazzo Ricca, a pochi passi dalle Sette opere della misericordia di Caravaggio, l'attore napoletano, nello spazio ricostruito permanentemente dall'installazione fotografica di Antonio Biasiucci «Moltitudini» inaugurata a maggio a cura di Gianluca Riccio ha letto alcuni monologhi tratti dal teatro di Antonio Neiwiller. La voce è il medium che tesse, insieme alla fotografia di Biasiucci, l'omaggio al regista teatrale, riferimento fondante per lo stesso artista di Dragoni e che sarà possibile ascoltare registrata giovedi 21 luglio dalle 18 alle 21. Al regista sarà dedicata l'installazione permanente che attraverso suoni e immagini traduce una relazione creativa con Napoli non controllata, fuori dai canoni stereotipati, oltre le più recenti esperienze mediali cristallizzate nella contrapposizione binaria che vede eternamente e sterilmente di fronte l'inferno di Gomorra e il paradiso di Dolce & Gabbana.

Si deve ripartire da via Tribunali per discendere gli inferi di uno spazio eterno e visionario come quello di Napoli, condotti dalla intensa navigazione del fotografo campano e dal suo ripensare totalmente l'esposizione fotografica nel contesto di un brusio dimenticato e rimosso del mondo. Trecentotrenta stanze, in ognuna centinaia di faldoni che sono statue, montagne, sculture di carta, spago e cuoio, con dei numeri e testi essenziali stampati sulla carta. La voce di Servillo e i testi di Neiwiller guidano inizialmente l'emozione dello spettatore in una galleria di faldoni che sono sorprendenti di per sé, illuminati, guardanti, portatori di storie che attendono il risveglio, che ti assediano e chiedono qualcosa. Qui, in una delle trecentotrenta camere, nello spazio dove trionfano i faldoni chiusi, Biasiucci ha creato il suo spazio fotografico che non è una videoinstallazione. «Moltitudini» attraversa fasi ed immagini fotografiche della sua ricerca, elaborando un modo possibile, eminentemente fotografico, di abitare lo spazio nella cerniera che separa, e unisce, il buio dalla luce: ritratti, pani, crani, i calchi dei migranti in gesso fotografati nel Museo di antropologia di Napoli. «Moltitudini» è un'eco emanata da Neiwiller e, con lui, da Pessoa, che Biasiucci aveva proposto in versioni diverse anche in altre esposizioni.

«Moltitudini» qui è un'altra cosa, dialoga prima di tutto con questa città, la rianima e la popola a un tempo. Dialoga con le radici teatrali della fotografia che in Napoli palpitano e attraversano l'opera di Biasiucci. Non sono più le fotografie dei volti installate nel salone principale del Madre, a terra, galleggianti e distanti. Qui è diverso, l'uomo prende vita dall'ombra, l'immagine si nutre del calore della carta, l'impronta vivente e fotografica di Biasiucci trasferisce il potere del sogno allo spettatore.

La vita, nell'archivio del Banco di Napoli, si è trasformata in deposito eterno su carta, storie scritte e documentate da prestiti, acquisti, depositi. Storie consegnate al vuoto silenzioso dell'archivio, all'attraversamento di stanze su stanze che ti portano alla soglia del buio, del velo nero, di una sostanza densa e scura da attraversare per accedere al palcoscenico teatrale di Neiwiller, o forse in maniera più sostanziale e definitiva alle radici della camera oscura: al principio quella stanza nera ti rapisce e ti sposta, ti porta nel ventre di un'immaginario visivo e sensoriale germinale che evoca Paul Klee e ha mosso Neiwiller stesso. Il paradiso o l'inferno della carta, e della storia della modernità di Napoli, attraverso faldoni che nascondono cultura, economia, società, potere e vita quotidiana, prende sostanza dall'ombra e con il baluginare della luce, assume forme e tratti umani sensibili, letteralmente ri-vive attraverso le fotografie dei volti che si sovrappongono e si sciolgono nei pani o nei teschi, assumendo una nuova e diversa vita. Queste immagini parlano senza la necessità del linguaggio, vivendo nell'incunabolo della civiltà occidentale, forse in una dimensione che va oltre l'umano e chiede la partecipazione tutta dello spettatore. Anzi più che dello spettatore, del concerto sensoriale e multidimensionale di un uomo aperto al destino ancora da farsi, magari post umano. I fantasmi visionari della scena di Neiwiller si animano tra le macerie del presente, Biasiucci qui consegna una forma di vita nuova, o almeno la speranza che ancora alimenta la sostanza, e la potenzialità, di questa città.
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