Servillo a Napoli con “Elvira”: «Il teatro, uno specchio sul senso dello stare al mondo»

Servillo a Napoli con “Elvira”: «Il teatro, uno specchio sul senso dello stare al mondo»
di Titta Fiore
Mercoledì 25 Gennaio 2017, 10:57
5 Minuti di Lettura
A Parigi Toni Servillo è ormai di casa e ogni volta che vi torna con un nuovo spettacolo, con una rassegna di film, è una festa di pubblico e di critica. Sabato scorso, 21 gennaio, ha chiuso trionfalmente all’Athénée le due settimane di repliche di «Elvire Jouvet 40», il testo che Brigitte Jaques trasse dalle sette lezioni del grande attore francese Louis Jouvet sulla seconda scena di Elvira nel «Don Giovanni» di Molière. Rifare Jouvet nel teatro dove «il monumento» Jouvet visse e morì, nel 1951. Una sfida ben giocata e vinta. Sul sito della storica sala accanto al suo nome c’è un solo aggettivo: «immense». «L’immense acteur italien Toni Servillo». I numeri supportano l’entusiasmo: a Milano l’allestimtno prodotto da Teatri Uniti e dal Piccolo è stato «sold out» per due mesi. Ventisettemila spettatori. E ora «Elvira» approda a Napoli, da martedì 24 sarà al Bellini dove tutto è cominciato dopo un mese e mezzo di prove serrate insieme con i giovani e talentuosi Petra Valentini, Davide Cirri e Francesco Marino.

Spettacolo attesissimo, Servillo. Che cosa è piaciuto ai francesi, che cosa deve aspettarsi il pubblico napoletano?
«Abbiamo portato a Parigi un testo legato alla loro tradizione, a un interprete sommo paragonabile al nostro Gassman e con il precedente di una messinscena famosa di trent’anni fa, protagonista lo straordinario Philippe Clevenot...»

Insomma, l’impresa era delicata.
«Ed è stato bello che a Parigi, come a Milano, il pubblico abbia colto appieno la dimensione che più ci sta a cuore. Perché “Elvira” non è un testo di fredda riflessione del teatro sul teatro, anzi. La relazione di maestro e allieva con il personaggio, e con l’indagine svolta sul personaggio, investe i sentimenti, le emozioni e le intelligenze. Lo spettacolo mette al centro del racconto la trasmissione del sapere, il maestro non “riempie” di insegnamenti l’allieva come un vaso vuoto, ma il magistero dell’uno trova nell’altra attenta e ambiziosa disponibilità ad apprendere. È come se i due si prendessero per mano per avventurarsi in un territorio sconosciuto».

Un viaggio in se stessi con la potenza del linguaggio dell’arte.
«Eppure le scoperte che maestro e allieva fanno sul palco sono le stesse che lo spettatore ritrova nel proprio vissuto. E questa maieutica rende l’esperienza del teatro familiare, un’avventura affascinante di conoscenza e di emozione».

Lavorando al monologo di Elvira Jouvet e la giovane Claudia, in altri termini, riflettono sul senso dello stare al mondo.
«Ripropongono un “alfabeto dei sentimenti” più che mai necessario nei nostri tempi mediocri. Mettersi alla prova, abbandonarsi, fare fatica: pratiche che poco si addicono alla superficialità dell’oggi. Appassionarsi, percorrere la serpentina del sentimento che è l’architrave di ogni azione artistica. Ecco perché “Elvira” coglie nel segno e colpisce al cuore. Jouvet invita a capire l’intima relazione tra ciò che si è e ciò che si fa. Una relazione etica, oltre che estetica».

Stampa d’Oltralpe entusiasta per la prova di «un artista magistrale», e «Le Monde» ha sottolineato «l’italianità» dell’interpretazione.
«Beh, i francesi hanno una maniera più cartesiana di recitare, venerano l’aspetto verbale, la nostra tradizione invece impone anche l’importanza del gesto, del corpo, e la cosa li incuriosisce molto. “Elvira” non andava in scena a Parigi dagli anni Ottanta, è significativo che sia stata una compagnia italiana a riproporlo. Un allestimento sobrio, ma non un esperimento stravagante per iniziati. Nello spettacolo divampa un incendio del cuore e dell’intelligenza, la serata è un’indagine sul cuore delle donne e sulle vie miracolose prese dall’amore quando si trasfigura e si dona senza chiedere nulla in cambio».

E ora la pièce sul sentimento dello stare al mondo arriva, come direbbe Montesano che ha tradotto il testo, nella Città-Mondo. Con quali suggestioni?
«Con un grande desiderio di rientrare in contatto con il pubblico napoletano, che è casa mia».

Nel frattempo, nei ritagli della tournée, ha inaugurato il nuovo auditorium dell'Università Federico II in una zona difficile della città come San Giovanni a Teduccio e ha recitato nella sala del quartiere gestita dai valorosi giovani del Nest.
«M’interessa portare contenuti sul palco, bisogna alzare il tiro su questo mestiere se vogliamo dare risposte alla creatività, porre l’asticella sempre più in alto».

Pensa già ad altri progetti?
«Per ora continuiamo la tournée, dopo Napoli saremo a Firenze, prima di andare, l’anno prossimo, a Mosca, San Pietroburgo e Lione. E in estate, come spesso mi succede, farò un film».

Quale?
«L’esordio nella regia di Donato Carrisi, “La ragazza della nebbia”, un thriller. Gireremo in Alto Adige, io sarò un particolare agente speciale della polizia».

E quando sarà Geppetto nel «Pinocchio» di Garrone?
«Non lo so ancora, il progetto ha avuto un piccolo slittamento per ragioni tecniche».

In estate a Napoli vedremo la nuova edizione del Teatro Festival.
«Il direttore, Ruggero Cappuccio, è una persona seria e competente, credo che messo nelle condizioni giuste possa fare molto bene, ha tutta la mia stima e il mio incoraggiamento».

Lei sottolinea l’esigenza di alzare l’asticella e nella pièce dice: «Senza sforzo, non è bene». È in questo il sentimento più intimo e profondo di «Elvira»?
«Il testo gioca su una vasta gamma di sentimenti, ma certo la comprensione di sé passa per il lavoro, per la disciplina. Si è quel che si fa nella pratica quotidiana. Per ritrovarsi, bisogna mettersi in gioco».
 
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