Un «Sogno» napoletano con Arena e Danieli secondo Ruggero Cappuccio

Un «Sogno» napoletano con Arena e Danieli secondo Ruggero Cappuccio
di Luciano Giannini
Venerdì 12 Febbraio 2016, 16:01
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Ruggero Cappuccio nota che «i burattini riescono ancora a incantare bambini svezzati a pane, computer e videogiochi». Un modo per dire che «sono oltre il tempo. Proprio come il Sogno di una notte di mezza estate». Ecco perché il drammaturgo, scrittore, regista e attore napoletano li ha inseriti nella personale riscrittura del classico shakespeariano, ambientandolo in un antico palazzo napoletano, dove Oberon re degli Elfi e Titania regina delle fate sono due vecchi burattinai... «O forse soltanto due anziani chiusi in un ospedale, o due pazzi abbandonati dalle famiglie», precisa Lello Arena. È lui, assieme a Isa Danieli e ad altri cinque attori, a dar vita al «Sogno» di Shakespeare trasportato da Cappuccio a Napoli e nella sua lingua, nelle sue armonie, nei suoi suoni. Lo spettacolo arriva da oggi al San Ferdinando ed è uno dei titoli principali con cui lo Stabile Teatro Nazionale intende rilanciare la sala di Eduardo con un cartellone che prenda spunto dalla tradizione per rinnovarla. In scena, con i due interpreti principali, sono Fabrizio Vona, Renato De Simone, Enzo Mirone, Rossella Pugliese, Antonella Romano. La regia è di Claudio Di Palma.

«Cappuccio - spiega la Danieli - ha scritto il testo pensando a Lello e a me. E, infatti, l'ho letto, mi ci sono ritrovata e ho accettato il ruolo di Titania. È la prima volta che recito in un copione di Cappuccio, e anche la prima insieme con Arena. Mi piace accettare nuove sfide, confrontarmi con nuovi compagni di lavoro. E la scelta mi ha dato ragione». Nel suo «Sogno - racconta Cappuccio che raddoppia i piani narrativi - Oberon e Titania, marito e moglie, sono burattinai che affittano camere a presunti musicisti. È lei a confidare al marito misteriosi movimenti notturni nell'antico palazzo: i pupazzi conservati in casa hanno un'anima... E sono proprio loro a dar vita alla trama narrata da Shakespeare. Il letto di Oberon e Titania si solleva e diventa teatrino».

Perché ha riscritto Shakespeare? «Non è la prima volta che lavoro sui classici. L'ho già fatto con Edipo a Colono e Tieste di Seneca. Ci sono opere in grado di testimoniare la grandezza dell'autore anche grazie al potere di produrre gemmazioni, di ispirare, cioè, altre opere.
Così, io ho sognato il Sogno da napoletano sospeso tra antichi retaggi e modernità. In questo testo racconto un'allucinazione personale».«Lo spettacolo - insiste Arena - riporta un grande classico all'atmosfera della fiaba, per condurre il pubblico in una dimensione dimenticata, quella candida, onirica e fantastica dell'infanzia, quando qualcuno riuniva intorno a sé un gruppo di bambini e li coinvolgeva nel mondo incantato dei cunti. Il teatro, per fortuna, ha ancora il potere di alimentare questa poesia». «È il Sogno di Shakespeare e, nello stesso, un'altra cosa, una sorpresa», precisa la Danieli. E Arena: «C'è un mago, Cappuccio, che perfeziona l'idea di un altro mago, Shakespeare. Entrambi offrono libertà di lettura a un pubblico che non è costretto a restare nel solco dell'autore e del regista, ma può seguire percorsi propri, lasciandosi sedurre da burattini che diventano persone grazie a una lente magica; dai quattro innamorati che diventano quattro burattinai; dai burattini che diventano elfi; dai comici che devono recitare alla corte del duca poi c'è Puck, nel ruolo classico, che procura il fiore magico, fa gli incantesimi ma li sbaglia costringendo gli innamorati a intrecciarsi tra loro finché Oberon rimette tutto in ordine».Il «Sogno» di Cappuccio è prodotto da Ente Teatro cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Officine Culturali della Regione Lazio Bon Voyage e Festival di Borgio Verezzi e Civit'Arte 2015, «simbolo del coraggio che serve per fare questo mestiere oggi», puntualizza la Danieli. «Il teatro è cambiato, ha nuove regole e nuovo pubblico, cui bisogna bene o male adeguarsi. Prima, le tournée duravano mesi, oggi non più; a meno che in compagnia non ci siano i divi dello schermo, che indossano quegli orribili microfoni. È la cosa che mi urta di più. E non solo: mentre reciti, devi anche sopportare la gente che ti scatta foto con il cellulare. Come se non fossimo sul palcoscenico, ma dentro l'elettrodomestico insostituibile: la televisione»
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