«Breaking Bad? Serie perfetta. Quando è finita ho pianto»

«Breaking Bad? Serie perfetta. Quando è finita ho pianto»
di Diego Del Pozzo
Venerdì 21 Luglio 2017, 09:03 - Ultimo agg. 09:05
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C'è anche il regista di «Indivisibili», Edoardo De Angelis, sul blue carpet della Cittadella del cinema di Giffoni Valle Piana, ad attendere Bryan Cranston per salutarlo prima dell'ingresso in sala Truffaut, dove il protagonista della serie-fenomeno «Breaking Bad» avrebbe di lì a poco incontrato i giovani giurati provenienti da tutto il mondo. Il saluto tra i due è caloroso e, mentre s'abbracciano, De Angelis (reduce da una masterclass alle Antiche ramiere) manifesta a Cranston la propria ammirazione per la sua interpretazione di Walter White nello show creato da Vince Gilligan e riconosciuto come uno tra i più significativi della storia della serialità televisiva americana.

La disponibilità, la classe e la signorilità del sessantunenne attore californiano fanno sì che la sua giornata al Giffoni Experience si trasformi in uno di quei momenti indimenticabili che costellano la storia quasi cinquantennale della kermesse. Cranston, infatti, si concede con enorme generosità, in alcuni frangenti rischiando anche di far saltare il rigido protocollo di sicurezza: firma qualsiasi cosa gli venga sottoposta, si fa scattare selfie con tutti, chiacchiera rilassato senza mai mostrare fretta, sempre col sorriso sulle labbra, forte di una naturale empatia verso chi lo circonda.

Premiatissimo per «Breaking Bad» (quattro Emmy e un Golden Globe come attore e altri due da produttore), ma anche per il teatro (un Tony Award per «All the Way» a Broadway) e il cinema (nomination agli Oscar lo scorso anno per «Trumbo»), Cranston è un artista eclettico e completo, con all'attivo oltre 150 ruoli e una capacità innata di passare dalla commedia al dramma e dalle piccole produzioni indipendenti ai blockbuster, portando avanti, al tempo stesso, una prolifica carriera da produttore e alcune incursioni come regista.

Bryan, qual è il suo segreto?
«Il fuoco ardente che continuo a tenere acceso dentro di me. Per fare questo mestiere, infatti, il primo requisito deve essere una passione straordinaria, una fiamma che ti porta a misurarti ogni giorno con nuove sfide artistiche, senza mollare mai. Per fare ciò, però, mi aiutano molto la serenità e la gioia che arrivano dalla famiglia, mia moglie Robin e la nostra splendida figlia, anche loro attrici. Per me, è fondamentale che le gioie private non siano mai messe in secondo piano da quelle legate alla carriera, poiché questa è effimera mentre gli affetti veri restano con te per sempre».
Tra i tanti da lei interpretati, il personaggio di Walter White in «Breaking Bad» la farà ricordare negli annali. Che cosa ha rappresentato per lei questa serie?
«L'ho amata con tutto me stesso e quando è finita ho persino pianto, ma al tempo stesso mi sono sentito orgoglioso, perché gli autori avevano scritto il miglior finale possibile. All'inizio della serie, Walter è un buon padre, che si trova in circostanze difficili ed è quasi costretto a diventare un criminale. Così, il mite professore di chimica malato terminale si trasforma in produttore e spacciatore di stupefacenti. Forse, dentro di sé era già predisposto al male, ma è anche vero che deve affrontare una sfida estrema, purtroppo per lui non nel modo migliore. Non è un eroe, ma un personaggio complesso, più vicino alla gente vera, come accade sempre più spesso nelle serie di oggi. Mi piace molto anche il prequel Better Call Saul, ma non credo che al suo interno rivedremo Walter».
Lei continua a passare con naturalezza dal cinema alla televisione e, in quanto produttore oltre che attore, è anche un attento osservatore dei mutamenti del mercato audiovisivo. Com'è la situazione attuale, rispetto a quando lei ha iniziato?
«Oggi, per le nuove generazioni, il rito della visione in sala cinematografica ha perso il fascino che aveva per noi e i film si guardano nel chiuso delle proprie case, su schermi televisivi sempre più grossi e sofisticati. Però, tutto ciò sta facendo smarrire una componente fondamentale della visione, cioè la condivisione emotiva tra esseri umani, l'uno accanto all'altro nella magia della sala buia. Dal punto di vista narrativo, inoltre, le nuove narrazioni seriali televisive stanno spostando sempre più in là i confini dello storytelling. Anche Breaking Bad, per esempio, sarebbe stato un film pessimo, perché gli archi narrativi dei personaggi avevano bisogno di uno sviluppo sul lungo periodo impossibile da ottenere nelle due ore di un film».
In questo scenario in mutamento, come colloca le nuove piattaforme digitali come Netflix o Amazon?
«Stanno rivoluzionando il mercato, sia dal punto di vista produttivo che distributivo. Ma, soprattutto, lo stanno ampliando a dismisura, creando molte più opportunità di lavoro per attori e tecnici. E questa, per me, è una cosa estremamente positiva».
Lei è come al solito impegnatissimo: al cinema la vedremo in «Last Flag Flying» di Richard Linklater e in «Untouchable» di Neil Burger, remake americano di «Quasi amici» con Nicole Kidman e Kevin Hart, oltre che come doppiatore nel film animato di Wes Anderson «Isle of Dogs». Che cos'altro bolle nella sua pentola?
«Sto lavorando come produttore su ben quattro serie tv, ma altre arriveranno presto. Poi, sarò nel film dei Power Rangers, per la chiusura di un cerchio, dato che all'inizio della mia carriera feci il doppiatore per il loro storico telefilm. E inoltre, l'anno prossimo ritornerò dietro la macchina da presa per la mia seconda regia, dopo Last Chance del 1999, che dedicai a mia moglie. E andrò in scena al National Theatre di Londra nella trasposizione attualizzata ai giorni nostri di Quinto potere, con la regia di Ivo van Hove».
A proposito dei giorni nostri, che cosa pensa dell'attuale inquilino della Casa Bianca?
«Ancora non riesco a credere che Trump sia il presidente degli Stati Uniti. Purtroppo, possiamo soltanto allacciarci le cinture di sicurezza e sperare che il viaggio non diventi troppo pericoloso».