D'Amore: «Dopo Gomorra
sarò ancora Brutto e Cattivo»

D'Amore: «Dopo Gomorra sarò ancora Brutto e Cattivo»
di Titta Fiore - Inviato a Taormina
Domenica 3 Luglio 2016, 19:59 - Ultimo agg. 20:06
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Gli effetti di «Gomorra» sulla gente Marco D'Amore li verifica ogni giorno: non ce n'è uno, da Belluno a Palermo, che incontrandolo non lo chiami Ciro, Cirù, come l'«immortale» della serie che interpreta con superlativa bravura. E non gli rilanci la battuta-tormentone «Sta' senza penzier». Una popolarità straordinaria. Ma anche una bella responsabilità. Perché è difficile, in certi casi di clamoroso successo, non farsi ingabbiare dalla forza di un personaggio. Gli anticorpi di Marco D'Amore, 35 anni di talento puro, si chiamano però teatro e cinema d'impegno civile. Per «Un posto sicuro», il film sui danni dell'amianto che ha voluto, coprodotto e realizzato con caparbia tenacia insieme con Francesco Ghiaccio, ha vinto ieri sera a Taormina il Nastro d'argento speciale dei 70 anni; e in autunno inaugurerà la stagione dell'Eliseo con «American Buffalo» di Mamet, tradotto in napoletano da Maurizio de Giovanni. Senza trascurare «Gomorra», si capisce: la terza serie è in avanzata fase di scrittura. Il team degli autori è al lavoro, poi arriverà la supervisione di Roberto Saviano.

Dopo la morte di don Pietro Savastano pare che l'azione si sposti nel centro storico, dove impazzano le paranze dei ragazzini: è così?
«Noi attori siamo gli ultimi a sapere, gli autori ci tengono all'oscuro per non rovinare l'effetto sorpresa. Cominceremo a girare a fine autunno, oppure ai primi del 2017. Certo, la serie va al passo con la realtà. Vedremo».
Con la rappresentazione della realtà arriveranno puntuali le polemiche. Che idea se n'è fatta?
«Per me si tratta di polemiche premeditate. Parlare di Gomorra accende i riflettori su chi l'attacca. E lo dico ripensando a quegli amministratori che ci hanno impedito di girare nei loro comuni. Sono gli stessi che sanno bene quanto sia impietoso lo sguardo della nostra macchina da presa. Quanto è vero lo sfacelo di certe immagini».
C'è chi teme l'effetto emulazione. Il video dei ragazzini che giocavano «a Gomorra» ha fatto il giro della rete.
«Giocavano a guardie e ladri, l'ho fatto anch'io da bambino, e allora? Un conto è la fascinazione di un film, un conto l'emulazione. I ragazzi che si fecero crescere la cresta come De Niro in Taxi Driver non saranno diventati tutti psicotici pronti a sparare. Il problema, come sempre, è culturale. Alle spalle di tanti ragazzi di Napoli c'è il vuoto. A Secondigliano ne ho conosciuti alcuni che non avevano mai visto il mare. Di che parliamo...».
L'assunto degli autori è: «Gomorra» racconta il Male assoluto.
«Appunto: accendiamo una luce e lo facciamo da un punto di vista preciso. Oggi la strada è molto più selvaggia di un tempo, il cambio generazionale all'interno delle dinamiche criminali è evidente, ma le cose possono ancora cambiare. I bambini che ho visto a Secondigliano hanno potenzialità enormi, ma tra qualche anno le loro qualità saranno messe al servizio di chi, di che cosa? La scuola è necessaria, la volontà politica è necessaria. Quando leggo che le associazioni criminali producono il 7-8 per cento del Pil del nostro Paese qualche dubbio mi viene».
«Gomorra» mostra sentimenti estremi e suscita reazioni estreme: Malammore assassino della figlia di Ciro è stato insultato sui social come solo certi «malamente» delle sceneggiate...
«I personaggi della serie sono entrati nell'immaginario collettivo: in altri tempi accadeva lo stesso ai protagonisti dell'opera lirica. L'effetto delle grandi narrazioni popolari è questo. Lo vediamo anche al cinema, grazie a film come Jeeg Robot o Veloce come il vento. Dopo vent'anni di appiattimento sui generi, una bella svolta».
Cosa dobbiamo aspettarci da «Brutti e cattivi», il suo nuovo film con Claudio Santamaria?
«Molte sorprese, a partire dal look. La storia alza il tiro su contenuti e linguaggio, noi interpretiamo due personaggi borderline che tentano un'impresa strampalata, una rapina da disabili, le atmosfere sono da fumetto. Insomma, non ci si annoierà».
L'effetto di «Gomorra» sulla sua vita?
«Stravolgimento totale. Non frequento più Napoli da due anni, mettere piede in una pizzeria o in un bar è diventata un'impresa. Ma va bene così, naturalmente. Vivo a Caserta e ci resterò. Non posso perdere il contatto con la mia cultura, con le radici. Voglio affermarmi qui, nel mio Paese».